giovedì 10 novembre 2011

Araldica nella porta del castello di Macerata Feltria


Il castello di Macerata Feltria è dotato di diverse porte ma la principale è certamente quella incorporata nel palazzo del podestà che permetteva l'accesso al nucleo centrale dell'abitato al centro del quale sorge ancora una torre. L'importanza della porta è palese per la ricca decorazione araldica, ed è di questa decorazione che vogliamo occuparci.

Macerata fu uno dei più importanti castelli del Montefeltro, i suoi abitanti si organizzarono in comune almeno dal XIII secolo, pur essendo presente e preminente la famiglia dei Gaboardi (1). Non è noto quale fu il coinvolgimento di questa famiglia nella nascita del comune, ma è certo che nel XIV secolo alcuni suoi esponenti assunsero l'autorità di capitani del castello (2). La diarchia comune-Gaboardi si rispecchiava anche nella proprietà della torre, metà dell'uno e metà degli altri (3), forse segno del coinvolgimento della nobile famiglia nella costituzione stessa dell'istituzione comunale (4).


Nel 1233, negli anni in cui il comune di Rimini era in piena espansione attraverso il fenomeno della comitatitanza, anche i Gaboardi giurano il cittadinatico (5), come alcuni decenni prima avevano fatto i Montefeltro e i Carpegna. Ma già nel 1223 il Comune di Rimini inviava il podestà Guido da Miratoio (6). L'influenza riminese e dei Malatesta che ne divennero signori dalla metà del secolo, fu forte e tenace. Nelle schermaglie che per decenni e secoli contrapposero i ghibellini Montefeltro ai guelfi Malatesta, Macerata fu sempre fedele alleata di questi ultimi. Intorno alla metà del Trecento il cardinale Albornoz concederà il vicariato su Macerata ai Malatesta (7). Carlo Malatesta dominio (8). Solo dopo la definitiva sconfitta di Sigismondo Pandolfo Malatesta, Federico da Montefeltro ottenne dal papa il dominio su questo castello (1463), visto che senza effetto pratico rimase l'investitura di Macerata fatta a Nolfo da Montefeltro e ai suoi fratelli dall'imperatore Ludovico il Bavaro nel 1328 (9).



La porta annessa al palazzo del podestà, quella aperta nell'ultimo girone delle mura (10), è costituita da un arco gotico in pietra, sul quale sono state scolpiti stemmi e simboli vari. Per quanto ci risulta la descrizione più approfondita del manufatto è venne redatta da Nando Cecini per il quale il palazzo del podestà fu "costruito probabilmente dai Gaboardi, fu in seguito occupato dai vari condottieri ce conquistavano la Piazzaforte. Specialmente i Malatesta lasciarono il segno della loro occupazione, con lo stemma inciso nella pietra del capitello. Avvicinandoci al portale, possiamo considerare più da vicino i diversi stemmi, ben conservati, situati 3 da un lato, 3 dall'altro e uno in cima. E' opinione comune che essi appartengano alle diverse Case che si avvicendavano nel dominio di Macerata, ma poiché è molto facile osservare la identità della mano che li ha tracciati, nell'assoluta assomiglianza della tecnica e dello stile, e nella simmetria della disposizione, a me sembra più giusto ritenere che siano stati tracciati insieme, e che rappresentino gli stemmi dei diversi capitani dell'esercito oppure delle più importanti famiglie del castello oppure dei componenti il Consiglio comunale. Essendovi compreso anche quello dei Malatesta, forse rappresentano l'insieme degli alleati di Macerata, e questa mi sembra l'ipotesi più verosimile" (11).

Concordiamo con Cecini per quanto riguarda la verosimile contemporanea realizzazione dei diversi stemmi, anche se quello nella chiave di volta appare assai più curato degli altri.
Quanto alle ipotesi circa l'attribuzione degli stemmi, non si può negare che Cecini ne propose un ampio spettro, mentre per noi quella ricca rappresentazione araldica ha un’organizzazione perfettamente in linea con i più classici parametri dell'esposizione delle armi e dell'utilizzo dei simboli pubblici in contesti monumentali.

Interessante la descrizione offerta da Rossella e Andrea Brisigotti: “nella chiave di volta lo stemma del Comune (stella a 7 punte) ed i gigli angioini; nelle mensole d’imposta dell’arco sono raffigurati gli stemmi dei Malatesti, della Chiesa e dei Gaboardi” (12).

Cominciamo dagli stemmi collocati più in alto. Il primo, uno scudo gotico seminato di gigli con un lambello in capo, è certamente l’arma degli Angiò all’epoca campioni del guelfismo in Italia con re Carlo 1266-1282 e re Roberto 1309-1343.



Esso è scolpito nella pietra che funge da chiave di volta dell’arco, pur non essendo collocato esattamente in quel punto, ma sopra, in una pietra a forma di T. Lo stemma collocato in quella primaria posizione era certamente volto a dichiarare lo schieramento politico di appartenenza del castello (12). D’altra parte, come si è detto, Macerata fu sempre nell’orbita di Rimini e dei suoi signori, i Malatesta, principali esponenti del partito guelfo tra Marche e Romagna.
Nel panorama araldico del Montefeltro non sono noti altri esempi del genere, mentre importanti famiglie aggiunsero il capo d’Angiò alla propria arma, con la medesima finalità di dichiarare l'adesione alla parte guelfa: i conti di Carpegna (un capitello della rocca di Scavolino), i conti di Piagnano (le lastre tombali ora a Sant'Agostino di Piandimeleto) e naturalmente i Malatesta (ora nel portico dell'ex chiesa di San Francesco). Va detto, a proposito di questi esempi, che alcuni (quelli a Fano e a Scavolino) sono stemmi piuttosto tardi, realizzati in epoca nella quale le feroci lotte di fazione erano ormai un ricordo.


Sulla stessa pietra, ad affiancare l’arma d’Angiò, sono scolpiti due leoni armati di spada, elevata con la branca, quasi un antico esempio di tenenti araldici, se non fosse che probabilmente non erano parte dello stemma angioino. E nostro giudizio, infatti, si tratta di simboli: l'espressione della forza nel sostegno in armi della causa guelfa. Mentre i pare difficile che possano essere figure tratte da stemmi gentilizi o del Comune di Macerata.

Sotto lo stemma degli Angiò, scolpito nella parte della pietra che funge da chiave della volta, ecco un altro scudo gotico (più grande del precedente) nel quale è rappresentata una sorta di stella a otto lunghe punte con un cerchio al centro. Sembra essere lo stemma meglio realizzato di tutta la serie, ma nonostante ciò mostra una certa grossolanità. Anche per questo non si può escludere che la figura rappresentata possa essere un raggio di carbonchio: c’è il cerchio centrale dal quale dipartono gli otto caratteristici raggi.
Per la sua posizione è molto probabile che si tratti dell’antico stemma del comune di Macerata. Nella chiave di volta del portale di una casa di Montecerignone è scolpito quello che sembra essere il più antico esemplare del locale stemma comunale, concettualmente non molto diverso dall’attuale. Si tratta di un'analogia importante.

Tornando a Macerata, è più difficile, a nostro parere, che questo stemma col raggio di carbonchio possa essere lo stemma della famiglia dominante di fatto sul castello (i Gaboardi) o che possa rappresentare l’arma del magistrato che fece realizzare l’opera, un podestà o un capitano, magari un esponente dei Gaboardi investito di tali poteri. La sua posizione appare troppo importante, considerato che verosimilmente il comune di Macerata aveva uno stemma proprio.
Non va invece scartata l’ipotesi che comune e Gaboardi abbiano avuto il medesimo stemma, ma allo stato degli studi non è dato saperlo. E’però da segnalare che nel 1458 un tal Federico da Macerata, capitano del castello malatestiano di Fiorentino, scriveva ai capitani di San Marino e sigillava la missiva con un raggio di carbonchio unito a un’altra figura non chiaramente decifrabile, ma simile a un rastrello (13).



Scendendo d’importanza nel quadro della generale composizione araldica, arriviamo al capitello dello stipite destro (araldicamente parlando, quindi a sinistra dell'osservatore). Nella grossa pietra sono scolpiti due scudi e una figura in campo libero. Lo scudo più a destra, il più importante, sembrerebbe essere quello dei Malatesta. Il condizionale è dovuto al fatto che in luogo delle consuete bande vi sono delle sbarre scaccate e che manca la bordura inchiavata caratteristica di quell’arma (14). Che possa effettivamente trattarsi dell’arma dei Malatesta lo si deduce dalle caratteristiche sostanziali dell’arma (talvolta le bande vennero rappresentate come sbarre e viceversa), ma anche dalla posizione preminente dello scudo, tenuto conto del ruolo politico dei Malatesta sul castello. Il comune di Macerata e i Gaboardi che ne erano la famiglia preminente, furono sempre fedeli alleati dei Malatesti e anche prima che questi ultimi acquisissero la signoria su Rimini. Occorre ricordare che nel 1233 i Gaboardi e il comune di Macerata avevano giurato il cittadinatico Riminese.

Nel secondo scudo è rappresentata una particolare croce ancorata. In almeno un’occasione è stato indicato come emblema della Chiesa (15), ma questo è da escludersi in via generale giacché gli emblemi della potere temporale della Chiesa erano altri, come testimoniano in luoghi circostanti gli stemmi presenti a Sant’Angelo in Vado (croce accantonata da quattro coppie di chiavi decussate) e a Petrella Guidi (chiavi decussate).



Ma a togliere ogni dubbio nel caso specifico è un bello stemma erratico custodito presso la Biblioteca-museo “Renzi” di San Giovanni in Galilea nel comune di Borghi (FC). La figura principale dello stemma è la medesima croce, ma in questo caso è presente anche la bordura inchiavata tipica dell’araldica malatestiana e delle famiglie riminesi ad essa alleate (Paci, Marcheselli ecc.).



E’ questa l’arma dei Gaboardi? Gli esponenti di quella casata ebbero interessi anche a San Giovanni in Galilea (castello malatestiano) tali da giustificare la presenza del loro stemma in quella località? O forse lo stemma con la croce è quello di un’altra famiglia (magari di San Giovanni in Galilea o di Rimini) presente a Macerata per via di un incarico istituzionale come una podesteria. In questo caso lo stemma del magistrato potrebbe ben trovare posto in quella posizione.


In terza posizione è scolpito un leone. Questo non è rappresentato in uno scudo e dunque potrebbe non essere una figura araldica propriamente detta. Rivolto verso la porta (così come il leone scolpito nello stipite di sinistra (araldica), sembra essere lì collocato a protezione dell’ingresso.
Tutto ciò richiama alla memoria la frequente presenza di questo animale nei sigilli civici medievali. Celeberrimo è il caso di quelli di Fano: in tutti i sigilli comunali con la rappresentazione della porta (in realtà miniatura della città); ma anche in un sigillo del Popolo, pubblicato dal Manni (16), meno noti, ma significativi, alcuni sigilli del comune di Pesaro dove l’antico stemma civico inquartato è accostato a un leone.
La presenza della fiera nei sigilli è ritenuta espressione di forza e (specie se associata alla rappresentazione della città o della porta) di protezione della comunità (17). Dunque, come per i due leoni che affiancano lo stemma angioino, i leoni dello stipite intendono rappresentare la forza e nel caso specifico la strenua difesa della porta e del castello.


Infine lo stipite di sinistra (araldica). Qui non è rappresentato nessuno scudo, indice dell’effettiva minor importanza del luogo.




Sono invece rappresentati tre emblemi a destra un piccolo giglio. Si tratta solo di un elemento decorativo? Forse, ma occorre ricordare la sua presenza in altri analoghi contesti. Nel portale del palazzo del podestà di Rimini (edificato negli anni Trenta del Trecento) compaiono dei gigli, ma con lambello, compariva nel sigillo di Castel Durante e oggi ancora nello stemma di Urbania (anche qui col lambello), mentre un piccolo giglio compariva nei sigilli medievali di Fossombrone (talvolta associato alle chiavi decussate). Si tratta dunque di un emblema politico? Ancora una volta un richiamo araldico alla fazione guelfa? Possibile, soprattutto se lo stemma angioino possibile, nonostante la più forte presenza dello stemma d’Angiò in cime al portale..

A sinistra del giglio è rappresentato un leone (rivolto verso il varco della porta) del quale si è accennato sopra. Per questa figura non resta che rinviare a quanto già detto.

Ultimo emblema è il comunissimo fiore (?), che solitamente viene ricondotto a origine celtiche. Si tratta di un elemento decorativo che (declinato in diverse tipologie) è frequentissimo nei manufatti realizzati nell’arco alpino, ma tutt’altro che infrequente anche nell’Appennino e non solo, come si può osservare ad esempio nel citato palazzetto di Monte Cerignone, nel palazzo dell’Arengo di Rimini (iniziato nel 1204) e nell’attiguo palazzo del podestà edificato 130 anni dopo.


 



Pur rimanendo insoluti due particolari tutt’altro che insignificanti (la titolarità dello stemma col raggio di carbonchio e di quello con la croce) crediamo che la lettura complessiva della decorazione araldica della porta del castello di Macerata Feltria possa essere quella che abbiamo proposto. Autorevoli studiosi di araldica hanno voluto evidenziare le peculiarità dello stile araldico e dello stile sfragistico (18), ebbene questa porta appare per certi versi un gigantesco sigillo ricco di minuti particolari ma che, per le sue dimensioni,comprende anche la principale caratteristica dell’araldica, la visibilità a una certa distanza. Come il sigillo, però, riesce a ricomprendere una moltitudine di segni, con caratteristiche tra loro assai diverse. Il tutto, comunque, destinato a dichiarare la propria esistenza, la propria autonomia, la propria forza ma anche il sistema di alleanze e di schieramento politico d’appartenenza.

 


-NOTE-

(1) Sui Gaboardi si vedano G. TOMBINI, I Gaboardi signori di Maceratafeltria (secoli XIII-XIV), in "Studi Montefeltrani", n. 21, 2001; F.V. LOMBARDI, Territorio e istituzioni in età medioevale, in G. ALLEGRETTI e F.V. LOMBARDI (a cura), Il Montefeltro. Ambiente, storia, arte nelle alte valli del Foglia e del Conca, Verucchio 1995, pp. 143 e 144.

(2) G. TOMBINI, I Gaboardi, p. 68.

(3) G. TOMBINI, I Gaboardi, p. 69, così dalla Descriptio Romandiole (1371); si veda anche N. CECINI, Macerata Feltria, pp. 37-39. La Descriptio rivela che nel castello v'era un ufficiale che amministrava la giustizia per conto della Chiesa, pagato dal comune.

(4) F.V. LOMBARDI, La nascita dei comuni medievali nei comitati di Montefeltro, Urbino, Cagli, in V. VILLANI (a cura), Istituzioni e statuti comunali nella Marca d'Ancona, II, 1, Ancona 2007, p. 80.

(5) N. CECINI, Macerata Feltria, p. 34, cita TONINI.

(6) N. CECINI, Macerata Feltria, p. 34, cita CLEMENTINI.

(7) G. TOMBINI, I Gaboardi, p. 68-69.

(8) G. TOMBINI, I Gaboardi, p. 68-69. I veda anche W. TOMMASOLI, Macerata di Montefeltro nelle vicende storiche locali del trecento, in AA.VV., Il convento di S. Francesco a Macerata Feltria, San Leo, 1988, p. 17.

(9) Secondo Cecini in quel frangente, col passaggio di Macerata sotto l'influenza dei Montefeltro, sarebbe finita la signoria dei Gaboardi, N. CECINI, Macerata Feltria, p. 36; ma per Lombardi quell'investitura rimase senza effetto, F.V. LOMBARDI, Territorio e istituzioni, p. 140.

(10) N. CECINI, Macerata Feltria, p. 31, cita P. FRANCIOSI, Rocche e castelli del Montefeltro: Macerata Feltria, in "Rassegna Marchigiana", VIII (1930)

(11) N. CECINI, Macerata Feltria, p. 102. La rappresentazione degli “stemmi di tutti i signori che si sono succeduti nel dominio di Macerata” è la tesi proposta in O.T. LOCCHI, La Provincia di Pesaro ed Urbino, Roma 1934, p. 657.

(12) R. BRISIGOTTI e A. BRISIGOTTI, Macerata Feltria, in Guida per il visitatore. Storia, arte, cultura, geografia. Provincia di Pesaro e Urbino, L'Alfiere, Urbino 1998, p. 170.

(12) E. DUPRE’ THESEIDER, Sugli stemmi delle città comunali italiane, in E. DUPRE’ THESEIDER, Mondo cittadino e movimenti ereticali nel Medio Evo (Saggi), Pàtron Editore, Bologna 1978, p. 133.

(13) ARCHIVIO DELLO STATO DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO, Carteggio della reggenza, b. 82, lettere del 3 marzo 1458 e del 6 marzo 1458.

(14) Sull'argomento si veda: E. ALBINI, Monogrammi e stemmi nelle maioliche riminesi, in “Ariminum”, a. III, n. 1, gennaio-febbraio 1930, pp. 16-18. G. RIMONDINI, L'araldica Malatestiana, Pasini, Verucchio 1994; P.G. PASINI, Araldica malatestiana, in P.G. PASINI (a cura), Malatesta Novello Magnifico Signore, Minerva Edizioni, Bologna 2002, pp. 78-79.

(15) W. TOMMASOLI, Signorie rinascimentali e tarda feudalità, in G. ALLEGRETTI e F.V. LOMBARDI (a cura), Il Montefeltro. Ambiente, storia, arte nelle alte valli del Foglia e del Conca, Verucchio 1995, p. 162, didascalia foto del capitello.

(16) D.M. MANNI, Osservazioni istoriche di Domenico Maria Manni accademico fiorentino sopra i sigilli antichi de’ secoli bassi, t. 5, Firenze 1740, pp. 41 e ss.

(17) G.C. BASCAPE’, I sigilli dei comuni italiani nel Medioevo e nell’età moderna, Giuffré, Milano 1953, p. 96.

(18) E. DUPRE’ THESEIDER, Sugli stemmi, pp. 118 e 135, ma soprattutto A. SAVORELLI, “Dignum cernite signum…”. ‘Stile araldico’ e ‘stile sfragistico’ negli stemmi delle città medievali, in “Archivium héraldiques suisses”, CXII, II, pp. 91-113.