sabato 3 ottobre 2015

Ora tocca agli Accomanducci


Citati en passant nella storiografia dei Montefeltro per un'ipotesi di coinvolgimento nella nascita di Federico conte e poi duca di Urbino (1422-1482), gli Accomanducci attendono di uscire allo scoperto dopo seicento anni di oblio.
L'attesa sta per finire grazie a un nostro primo contributo che, oltre a fornire finalmente l'esatta descrizione dell'arma, discosta il sipario con un primo inedito profilo storico di questa casata che tra la fine del XIV e i primi decenni del successivo fu al fianco dei signori di Urbino, anche con ruoli di responsabilità in patria e fuori.


Intanto possiamo anticipare che l'antico appunto, ampiamente citato dagli storici, che avrebbe indicato in Elisabetta Accomanducci la madre di Federico da Montefeltro, non solo non fa riferimento al signore di Urbino (come notava già nel 1978 Walter Tommasoli), ma non è neppure esatto.


Infatti Matteo Accomanducci non ebbe un solo figlio. Oltre a Guido Paolo ci furono Giorgio, Filippo, Anna, Agnese e Veronica, imparentati con importanti famiglie e implicati in tragiche vicende.
Tutto questo ed altro, nel nostro prossimo saggio.



venerdì 18 settembre 2015

FINITE (O QUASI) LE DISAVVENTURE ARALDICHE DEI MONTEFELTRO SUL WEB


Dopo le mie inascoltate segnalazioni ai titolari di alcuni noti siti web e un post (abbastanza consultato) in questo blog ormai risalente a qualche tempo fa, un'anima buona, dotata delle necessarie competenze grafico-digitali, ha voluto far cessare le disavventure araldiche dei Montefeltro sul web.
Ora, per esempio su Wikipedia, compare l'arma corretta.
Girano, tuttavia, ancora le vecchie versioni che per anni sono state incollate un po' ovunque. Sarà la rete, col tempo, a sistemare la cosa.
Ringrazio chi ha voluto intervenire avendo i mezzi e le competenze informatiche che io non ho. Grazie!





http://araldica.blogspot.it/2012/03/disavventure-araldiche-dei-montefeltro.html

mercoledì 16 settembre 2015

L'ARME SEGRETA. ARALDICA E STORIA DELL'ARTE NEL MEDIOEVO (SECOLI XIII-XV)

 

Segnalo con piacere e con un po' di orgoglio l'uscita del libro L'Arme segreta. Araldica e storia dell'arte nel Medioevo (secoli XIII-XV), a cura i Matteo Ferrari, introduzione di Alessandro Savorelli, con il contributo alla redazione di Laura Cirri e Alessandro Savorelli, Editore Le Lettere, Firenze 2015. ISBN 9788860876645

Il volume, nato dalle giornate di studio tenutesi nel 2011 presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz e la Scuola Normale Superiore di Pisa, offre un approccio innovativo a una disciplina storica - l'araldica - a lungo trascurata o coltivata in modo superficiale o strumentale, da eruditi e dilettanti. Suo oggetto di studio sono gli stemmi, espressioni figurate dell'identità che, comparse nella metà del XII secolo, si diffusero in modo rapido e capillare in tutta Europa. Questi segni costituiscono uno strumento di conoscenza indispensabile per lo storico e, ancor più, per lo storico dell'arte, cui si rivolge in primo luogo questo libro. Gli stemmi non servono solo alla datazione, al riconoscimento della committenza o delle vicende collezionistiche di un'opera, ma ne illuminano il significato e il contesto di produzione. Elemento essenziale della comunicazione visiva nelle società medievali, ci informano sulla mentalità e le abitudini percettive della committenza e del pubblico. Attraverso lo studio di alcuni casi esemplari, i saggi riuniti in questo volume dimostrano come l'araldica assolva un indispensabile compito ermeneutico per la storia dell'arte.

Riprendendo quanto detto nelle pagine dedicate a Monica Donato, si deve notare che il volume non è una raccolta di atti di convegno, ma piuttosto un volume miscellaneo composto di una buona parte delle relazioni presentate in occasione dell'assise pisano-fiorentina del 2011 e di contributi di studiosi che a quelle giornate di studio avevano solo assistito o che nei mesi della gestazione del volume lavorarono sotto la direzione di Monica Donato anche su temi araldici.

Colgo l'occasione per ringraziare Alessandro Savorelli per avermi voluto coinvolgere in questa magnifica esperienza come «appassionato avveduto» (chi leggerà le pagine introduttive dedicate alla professoressa Maria Monica Donato, purtroppo prematuramente scomparsa nelle more della redazione del volume, capirà perché). Ringrazio anche Laura Cirri e Matteo Ferrari per il supporto redazionale e ai ringraziamenti unisco il plauso per il magnifico lavoro complessivamente scaturito in questo prezioso e ricco volume.

Credo che un plauso particolare debba essere rivolto anche alla casa editrice fiorentina Le Lettere, per aver voluto produrre questo importante volume, ultimo di una serie di una serie dedicata all'araldica che a mio giudizio è tra quanto di meglio è stato scritto da autori italiani sull'argomento in Italia: Piero della Francesca e l'ultima crociata. Araldica, storia e arte tra gotico e Rinascimento (1999), Segni di Toscana. Identità e territorio attraverso l'araldica dei comuni: storia e invenzione grafica (secoli XIII-XVII) (2006), Tutti i colori del calcio. Storia e araldica di una magnifica ossessione (2008). Va da sé che il merito è anche di chi ha voluto proporre questi lavori alla casa editrice e il nome, senza ripetermi, lo troverete sulle copertine di tutti i volumi.

Due parole sul mio intervento: I Montefeltro nell'araldica monumentale trecentesca di Pisa


 
Partendo da alcune indicazioni di Pierantonio Paltroni, segretario e biografo del duca di Urbino Federico da Montefeltro, e attraverso la verifica e l'interpretazione araldica, è stato possibile offrire alla storiografia e alla storia dell'arte alcuni dati ed elementi interpretativi che colmano alcuni vuoti e precisano passaggi fino ad ora impervi relativi a tre monumenti trecenteschi di Pisa: il Pergamo del duomo, per il quale Paltroni risulta essere la più antica fonte (fino ad ora non considerata) dell'originale iscrizione poi ricostruita sulle indicazioni del Vasari; una lapide commemorativa ai Bagni di San Giuliano Terme che necessitava di una rilettura araldica; la chiesa di Santa Maria della Spina, dove l'apparato decorativo araldico pare oggi poter essere interpretato come opera realizzata nel contesto del dominio di Enrico VII di Lussemburgo imperatore del Sacro Romano Impero, e non ad un panegirico della committenza in chiave locale come inteso fino ad oggi.

Ecco dunque l'indice de L'Arme segreta.

 
INDICE

Per Maria Monica Donato, p. 5

Alessandro Savorelli

L'arme segreta. Un'introduzione, p. 7

Maria Monica Donato

«Ogni cosa è pieno d'arme». Uno sguardo dall'esterno, p. 19

 

ARALDICA E STORIA DELL'ARTE. INCHIESTE E RILETTURE

Emmanuel de Boos

Brioude segreta. Le plafond peint du doyenné, p. 31

Alessandro Savorelli

Contesti imprevedibili. Cavalieri di Francia a San Gimignano, p. 47

Francesca Soffientino

La dama, il miles e il "viandante": uno stemma angioino nella "cappella" del castello di Lagopesole, p. 63

Marco Merlo

L'araldica apocrifa di Bruno. Un frammento enigmatico della cultura cavalleresca a Firenze, p. 75

Matteo Ferrari

Stemmi esposti. Presenze araldiche nei broletti lombardi, p. 91

Giampaolo Ermini

La campana del Palazzo del Popolo di Orvieto (1316), p. 109

Antonio Conti

I Montefeltro nell'araldica monumentale trecentesca di Pisa, 127

Vittoria Camelliti

La Sant'Orsola che salva Pisa dalle acque e altri dipinti del Trecento pisano, p. 143

Luca Tosi

«Un avello di bianco marmo con la sua natural effigie intagliata»: il monumento funebre di Bianca di Savoia, p. 159

Chiara Bernazzani

«Io so che sopra dette Campanne vi è l'arma della Città»: le campane della cattedrale di Lodi, p. 169

 

ARALDICA E STORIA DELL'ARTE. TRA TESTO E IMMAGINI

Allegra Iafrate

«Scutum album aquila nigra secundum dictum, sed a contrario secundum aluim». Note sull'araldica in Mattew Paris, p. 185

Franco Benucci

Da un uomo a una pietra e viceversa. Un frammento di lastra funeraria ai Musei Civici di Padova, p. 195

Ruth Wolff

Le immagini del potere: visualizzazioni giuridiche su pergamena e in pietra. Gli stemmi dei podestà di Firenze, p. 207

Carla Frova

Le riflessioni del giurista: Bartolo da Sassoferrato su "insegne e armi", p. 221

Alice Cavinato

Stemmi a Siena e a Montaperti: i manoscritti di Niccolò di Giovanni di Francesco di Ventura, p. 235

Luisa Clotilde Gentile

Nel giardino di Valerano. Araldica reale e immaginaria negli affreschi del Castello della Manta, p. 249

 

ARALDICA. UN CODICE DELLA COMUNICAZIONE TRA REGOLE ASTRATTE E FUNZINI SOCIALI

Laurent Hablot

La mémoire héraldique des Visconti dans la France du XVe siècle, p. 267

Miguel Metelo de Seixa

Art et héraldique au service de la représentation du pouvoir sous Jean II de Portugal (1482-1495), p. 285

 

APPENDICE BIBLIOGRAFICA

Laura Cirri, Michel Popoff


Bibliografia araldica. Studi e strumenti per la storia dell'arte, p, 313

 

Gli autori, p. 319

Tavola delle abbreviazioni, p. 327

Crediti fotografici, p. 329

Indice dei nomi, p. 331
 
 
 
E' possibile acquistare il volume presso l'editore Le Lettere

Sulle giornate di studio internazionali L'Arme segreta. Araldica e Storia dell'Arte nel Medioevo (secoli XIII-XV), Firenze-Pisa, 24-26 novembre 2011, si veda il sito della Scuola Normale Superiore di Pisa.




giovedì 14 maggio 2015

Battle of the Nations - World Championship in HMB

Si è svolto a Praga, nelle giornate dal 7 al 10 maggio 2015 la nuova edizione della Battaglia delle Nazioni, il campionato mondiale di combattimento storico medievale.
Anche quest'anno, come nella scorsa edizione, la squadra italiana è scesa in campo con al divisa del monogramma che realizzai "al volo" e del quale ho già scritto in un post precedente. Si è ampliato l'uso del tricolore. E' un fatto che giudico positivo, non tanto perché, come noto, in questa manifestazione c'è una forte commistione tra emblemi e colori medievali ed emblemi e colori moderni o attuali, quanto perché come ho già avuto modo di rilevare, i colori bianco, rosso e verde furono ampiamente usati dai capitani di ventura italiani e dalle loro compagnie.
Ecco alcune immagini della manifestazione spiluccate qua e là sul web.















Battle of the Nations  - World Championship in HMB

mercoledì 13 maggio 2015

IL CURIOSO CASO DELLO STEMMA DELLA CHIESA NEL PALAZZO DELLA RAGIONE DI SANT'ANGELO IN VADO

Nell’attuale piazza Pio XII di Sant’Angelo in Vado si affaccia il cosiddetto Palazzo della ragione, edificato nel 1397 (1), antica sede del comune (rimarrà tale fino al 1838) nel quale è inglobata la torre civica eretta nel 1576.

Fotografia di Elio Rossi
Sant’Angelo in Vado fu a lungo il centro principale dell’antica provincia pontificia di Massa Trabaria e quando venne edificato il palazzo era soggetto al dominio del Brancaleoni che avevano ottenuto il riconoscimento formale del loro dominio attraverso il vicariato apostolico in temporalibus, concesso due anni prima, nel 1395, ai fratelli Pierfrancesco e Gentile e al loro nipote Galeotto del fu Niccolò Filippo (2).
La facciata dell’edificio è caratterizzata da un loggiato di cinque archi gotici e nell’ordine superiore, delimitato da un cordolo, da cinque finestre di fattezze tardogotico. È inoltre decorato con tre bassorilievi scolpiti con insegne del potere pubblico:

a destra l’Arcangelo Michele con lo scudo crociato, emblema del Comune;


al centro, in posizione d’onore, lo stemma della Chiesa, ovvero dell’autorità sovrana della Massa Trabaria e del comune; 


a sinistra lo stemma dei Brancaleoni di Casteldurante, vicari in temporalibus, costituito da uno scudo col leone attraversato dalla banda, e munito di un capo d’Angiò.


La superficie dei tre manufatti è parzialmente coperta da una patina giallastra che non sembra potersi ricondurre ad uno smalto araldico: tale patina è presente nel campo dello scudo dell’Arcangelo e in quello dell’arma dei Brancaleoni che dovevano essere bianchi. È però piuttosto improbabile che queste insegne araldiche siano state monocrome e sarebbe auspicabile un’indagine tecnica accurata. Questa potrebbe anche chiarire l’origine della presenza di un colore rossiccio in alcune parti dei bassorilievi come le ginocchiere dell’armatura e le piume esterne delle ali dell’Arcangelo o di altre che certamente dovevano essere d’oro o gialle come i gigli del capo d’Angiò.
Con ogni probabilità queste tre insegne dovevano essere colorate in modo adeguato. L’arcangelo poteva avere colori naturalistici, ma lo scudo doveva essere bianco con la croce rossa. L’arme della Chiesa doveva avere il campo rosso, caricato di figure bianche (la croce accantonata da quattro coppie di chiavi legate e incrociate in decusse) come nella celebre miniatura che raffigura l’Albornoz, 


la stessa che si ritrova in molti luoghi soggetti al papato, come a Gubbio nel Palazzo dei Consoli (dove la composizione è in qualche modo analoga, con l'arma sovrana al centro e quella comunale in seconda posizione alla sua destra); 


l’arma dei Brancaleoni era certamente munita degli stessi smalti di quella recentemente riscoperta nella chiesa di San Donato e risalente al 1351: d’argento/bianco al leone d’azzurro sul tutto la banda diminuita di rosso, con l’aggiunta del capo d’Angiò che era d’azzurro al lambello di rosso con gigli d’oro/giallo tra i pendenti. Questo capo era insegna della costante adesione al partito guelfo di questo ramo dell’articolata stirpe dei Brancaleoni (3). Era un’aggiunta all’arme, che rimaneva per così dire separata: poteva essere presente o omessa secondo le necessità politiche, artistiche o d’altra natura anche perché non fu quasi mai una vera e propria concessione ma un’assunzione spontanea dei fautori della causa e dei suoi campioni Carlo I e soprattutto Roberto di cui rimane lo stemma nella porta di Macerata Feltria. Lo stemma qui collocato può essere considerato comune a tutti e tre i soggetti titolari del vicariato apostolico in temporalibus nel periodo di edificazione del palazzo - sempre che gli stemmi siano stati collocati in quel momento (4) - come dimostrano tutti gli altri documenti araldici conosciuti, tra gli altri il citato stemma di S. Donato (1351) 

L'originale è rivolto per ragioni di euritmia

e quello del sepolcro di Bartolomeo Brancaleoni nella chiesa di San Francesco a Mercatello sul Metauro (1425).

L'originale è rivolto per ragioni di euritmia
La bellezza dell’insieme della semplice rappresentazione araldica di Sant’Angelo in Vado, se non unica certamente rara nel panorama locale, colpisce l’osservatore, crediamo anche quello non esperto di araldica. Tuttavia può sfuggire ai più, e così pare sia avvenuto per decenni, l’anomala composizione dello stemma centrale: quello della Chiesa.
Nel descriverlo, abbiamo evocato una croce accantonata dalle chiavi di San Pietro, ma qui una croce non c’è, salvo volerla identificare con una croce di Sant’Antonio, il cosiddetto Tau o croce commissa che sembra qui rappresentata con la traversa coincidente col bordo superiore dello scudo.



La verità è che ci troviamo di fronte a uno stemma montato male. Si noterà che il manufatto è realizzato su due lastre, ebbene quella superiore è stata montata al rovescio. Osservando il bordo dello scudo si rileva anche una leggera, ma percepibile, differenza di larghezza nel punto di giunzione. Girando la lastra superiore la traversa della croce risulta perfettamente collocata, al centro e la segnalata differenza di larghezza viene meno. Anche le chiavi risultano ora opportunamente collocate.

Quanto e perché venne montato in questo modo lo stemma della Chiesa? Non certo all’epoca dell’originaria collocazione (se avvenuta sul finire del Trecento), si aveva allora l’esatta cognizione di quale fosse lo stemma dello stato del papa. E allora?
Conducendo una ricerca sull’araldica dei Brancaleoni, presso l’Archivio della Soprintendenza ai Beni Architettonici delle Marche, mi sono imbattuto in una lettera del Soprintendente pro tempore con la quale si ingiungeva l’immediato ripristino del rivestimento in mattoni della facciata del palazzo nella parte soprastante il portico, smantellata nel 1949 a causa di lavori di ristrutturazione necessari dopo i danni causati dalla Seconda Guerra Mondiale (5). Sull’argomento, nello specifico, non è stato possibile rintracciare alcun documento nell’archivio del Genio Civile ora depositato presso l’Archivio di Stato di Pesaro.
Fu in occasione di quei lavori, che, smontato il rivestimento in mattoni vennero ovviamente tolti anche gli stemmi. L’imperizia del muratore nel momento del ripristino comportò, di tutta evidenza, il collocamento errato della lastra superiore dello stemma del papato.
Conferma questa ipotesi anche la fotografia pubblicata da Locchi nel 1934 (7). Si rileva, non solo la diversa forma delle finestre, ma anche la diversa collocazione degli stemmi. A differenza di oggi quello della Chiesa era a contatto con la cornice delle finestre.


Non sapremmo se chiedere il ripristino o lasciare questa singolarità alla descrizione delle guide turistiche ora adeguatamente informate.



_______________

1) V. LANCIARINI, Il Tiferno Mataurense e la Provincia di Massa Trabaria, vol. I, Roma 1912, p. 415.
2) E. PERINI, La signoria dei Brancaleoni di Casteldurante, Firenze 2008, p. 59.
3) Quello di Casteldurante era un ramo di forte tradizione guelfa, indotta verosimilmente anche dalla necessità di contrastare la spinta espansionistica dei Montefeltro conti di Urbino campioni del partito ghibellino. Altri rami coevi della famiglia dei Brancaleoni furono Piobbico, Rocca e Castel Pecorari, tutti ghibellini, A. TARDUCCI, Piobbico e i Brancaleoni, Cagli 1897.
4) Curiosamente non li ricorda Costanzo Felici, nel suo Origine de signori Brancaleoni scritta per me Costanzo Felici a messer Francesco Sansovino, scritto nel 1582, pubblicato in D. BISCHI, I Brancaleoni di Piobbico in Costanzo Felici e Francesco Sansovino, Rimini 1982, p. 61.
(5) Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici delle Marche, Ancona, Archivio Storico, M-PS-57-378, Sant’Angelo in Vado, Palazzo della Ragione, lettera del 31.08.1949.
6) Archivio di Stato di Pesaro, Genio Civile, nn. 780 e 5029.
7) O.T. LOCCHI, La Provincia di Pesaro ed Urbino, Roma, 1934, p. 783. 

LE BANDIERE DEI COMUNI DI FANO, PESARO E ACQUALAGNA AL XXI CONVEGNO NAZIONALE DEL C.I.S.V.

Sabato 2 maggio 2015, nella prima giornata del XXI Convegno Nazionale del Centro Italiano Studi Vessillologici, svoltosi presso l'auditorium della Biblioteca Filelfica di Tolentino, ho tenuto una relazione dal titolo Bandiere antiche e nuove: Fano, Pesaro e Acqualagna.
Partendo dalla documentazione storica esistente, basata principalmente su dipinti e sculture, ho illustrato quale effettivamente fossero gli antichi vessilli dei comuni di Fano e di Pesaro che, come molti altri nella regione e non solo, univano i colori rosso e bianco in due delle innumerevoli composizioni geometriche possibili. Oggi questi due comuni usano una composizione geometrica piuttosto banale, la più scontata, il partito, che nulla ha a che fare con i vessilli antichi che peraltro si trovano tal quali negli stemmi comunali (per Pesaro nello stemma originario, ora in punta allo scudo).
Inutile dire che a nostro giudizio le bandiere storiche andrebbero recuperate, eliminando quelle attuali col loro carico di scudo, fronte, corone, nastri e diciture da labaro bandistico.
Il caso di Acqualagna poi, è oltremodo particolare perché ha visto l'adozione di una bicromia estranea alla tradizione storica del Comune, ma non a quella della comunità che da anni vi si ritrova nei colori della locale squadra di calcio. All'esito è però una bandiera di difficile lettura a causa dell'assoluta mancanza del necessario contrasto dei colori usati.
La relazione dovrebbe essere pubblicata sulla rivista del Centro "Vexilla Italica".









LA PRIMA EVOLUZIONE DELL'ARMA DEI DELLA ROVERE: LA GENERAZIONE DI GIOVANNI SIGNORE DI SENIGALLIA

Il 13 aprile 2015, a Pesaro, presso l'auditorium di palazzo Montani (sede della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro), è stato presentato il terzo numero della nuova rivista della Società Pesarese di Studi Storici, "Studi Pesaresi", nel quale compare il mio secondo articolo della serie sull'araldica dei Della Rovere.
Dopo quello apparso sulla precedente rivista della Società ("Pesaro Città e Contà, n. 23/2006) intitolato L'origine dell'arme dei Della Rovere, pubblico ora il seguito La prima evoluzione dell'arma dei Della Rovere: la generazione di Giovanni signore di Senigallia.


I paragrafi:
1. Giuliano Della Rovere
2. Leonardo Della Rovere
2.1. L'arma degli Aragona di Napoli

2.2. L'antefatto Angioino 
3. Giovanni Della Rovere
3.1. L'arma dei Montefeltro
3.2. La forma degli scudi
3.3. La rocca di Senigallia
3.4. Il convento di Santa Maria delle Grazie di Senigallia
3.5. Gli stemmi nei castelli
4. Giovanna di Montefeltro Della Rovere

Ho illustrato la genesi delle armi che confluiscono in quelle dei Della Rovere "marchigiani", spiegando le ragioni degli incrementi. Ho analizzato l'uso degli stemmi nei contesti architettonici degli più importanti edificati dal signore di Senigallia.
Credo che questo studio possa essere d'ausilio non tanto agli studiosi di araldica, che per alcuni aspetti sono più o meno già informati, ma agli storici dell'arte e a quanti si avvicinano per professione o per diletto ai monumenti e alle opere connesse ai Della Rovere che potranno così adeguatamente riferirsi al dato araldico, talvolta importante.



Società Pesarese di Studi Storici




PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MARIO CARASSAI "LA FASCIA TOLENTINATE, UNA RICERCA SUL VESSILLO E L'ARMA COMUNALE"

Il 3 marzo 2015, presso l'auditorium della Biblioteca Filelfica di Tolentino, nell'ambito delle iniziative promosse dall'UniTre di Tolentino, ho presentato il libro di Mario Carassai "La fascia tolentinate, una ricerca sul vessillo e l'arma comunale", edito da  Andrea Livi di Fermo.



UniTre Tolentino

Andrea Livi Editore