domenica 11 maggio 2008

San Crescentino patrono di Urbino. Iconografia e attributi araldici.

Da Città di Castello a Urbino.
Nel settembre 2003 si è tenuto a Città di Castello un importante convegno su san Crescenziano i cui atti sono stati editi, nel 2005, a cura di Andrea Czortek e di Pierluigi Licciardello.
San Crescenziano è uno dei patroni di Città di Castello, località nei pressi della quale sarebbe stato martirizzato intorno all’anno 287. Nel corso del convegno tifernate è stato sottolineato il fatto che, se l’origine del culto nacque nell’alta valle del Tevere, “non è a Città di Castello che il santo troverà il suo centro cultuale, svolgendo un ruolo storicamente significativo, ma ad Urbino, che dal 1068 lo elegge a patrono protettore”, e come in questa città “il nuovo culto si impone accanto a quello della Madonna e di San Sergio, santo militare introdotto ad Urbino forse in epoca bizantina, proveniente dall’area ravennate” (Licciardello, 2005, pp. 118 e 119).
E’ a tutti noto che ad Urbino San Crescenziano acquisì il nome di San Crescentino per ragioni ignote. A fronte dalla diversità onomastica si è accompagnata forse una qualche diversità iconografica? A giudicare dall’intervento di Mirko Santanicchia al convegno tifernate sembrerebbe di no, ma è proprio la ricognizione iconografica condotta da Santanicchia ad aver sollecitato questa nostra indagine che offre un ulteriore contributo alla conoscenza della tradizione di san Crescentino soffermandosi sull’aspetto iconografico ed in particolare su quello araldico.

Rappresentazione di un santo militare.
Fin dalla prima testimonianza iconografica nota, risalente agli anni a cavallo tra Due e Trecento, la raffigurazione di San Crescentino è quella di un cavaliere che in sella al suo destriero è intento a sconfiggere un drago (Santanicchia, 2005, pp. 175, 177 e 178). Eppure, da quanto sembra emergere dalle ricerche fin qui svolte, la prima attestazione biografica della leggenda del drago risale solo al 1567, contenuta in un opera voluta dall’arcivescovo urbinate Felice Tiranni. Appare perciò evidente che lo scopo del Tiranni fu quello di riprendere una tradizione ben più antica ormai consolidata (Licciardello, 2005, pp. 128 e129; Santanicchia, 2005, p. 176).
Al primo modello rappresentativo se n’è successivamente affiancato un secondo. Il santo è ritto in piedi e senza il cavallo e il drago giace a terra morente. Notiamo come nel primo modello iconografico il drago è trafitto dalla lancia. Non così nel secondo modello, laddove il santo mostra a Dio le spoglie del drago sconfitto (Santanicchia, 2005, p. 182). In alcuni casi san Crescentino è raffigurato intento a calpestare il drago esanime come l’Immacolata calpesta il serpente.
San Crescentino era un soldato romano ed infatti è costantemente rappresentato in armi, con indosso prevalentemente un’armatura alla moda. Così se nel Quattrocento indossa armature da cavaliere di quell’epoca (simili a quella indossata dal duca Federico nella cosiddetta Pala di Brera), a partire dal Cinquecento egli indossa una lorica di stampo romano. Questo secondo tipo di armatura rispondeva meglio alla rappresentazione ideale di un soldato del III secolo, ma in realtà altro non era che un nuovo modello di armatura alla moda. Si pensi all’armatura di Guidobaldo II Della Rovere realizzata da Bartolomeo Campi nel 1546 (fig. 2) o alle ben note raffigurazioni dei principi medicei scolpite da Michelangelo.


fig. 1 fig. 2
Se nelle prime rappresentazioni il santo appare a capo scoperto, a partire dal Rinascimento è per lo più rappresentato con un elmo sul capo. Secondo Santanicchia questa novità dovrebbe essere stata introdotta dopo il 1520, probabilmente in conseguenza del ritrovamento del presunto elmo di Crescenziano avvenuta nel 1524 (Santanicchia, 2005, p. 183). Ma dobbiamo constatare che il santo indossa l’elmo già in una moneta di Guidobaldo da Montefeltro (fig.3) coniata tra il 1482 e il 1508 (Cavicchi, 2001, p. 44, n. 28) (fig. 3), e che forse un elmo è presente anche nell’immagine di un sigillo della città di Urbino impresso in una lettera del 12 agosto 1502 (ASRSM, Carteggio dei Capitani reggenti, Busta 90).

fig. 3

Ma la presenza dell’elmo, seppure frequente, non è costante. In più di un sigillo in uso nella prima metà del Cinquecento (ma probabilmente risalente al secolo precedente) il santo a cavallo è privo dell’elmo ed è caratterizzato invece da una lunga capigliatura (ASRSM, Carteggio dei Capitani reggenti, Busta 90, lettera del 28 marzo 1507, lettera del 4 maggio 1508, Busta 91/2, lettera del 21 giugno 1522). La lunga capigliatura caratterizza il santo anche in una moneta di Guidobaldo da Montefeltro (Cavicchi, 2001, p. 44, n. 27) (fig. 7). Si nota in questo caso ancora una corrispondenza con i canoni del gusto di quegli anni, espressi in particolare dalla capigliatura dello stesso duca di Urbino così come rappresentata nelle sue monete.


fig. 7
A proposito dell’elmo, notiamo che si tratta sempre di una borgognotta, un tipo di elmo alla moda che richiama alla lontana un elmo romano, in linea con l’uso della lorica.
In generale il mutamento dell’abito del santo è dunque conseguente al mutamento della moda, al recupero dello stile antico per le armature da parata che hanno ormai sostituito le vecchie armature da torneo.

San Crescentino e san Giorgio.
Santanicchia ha evidenziato il fatto che la raffigurazione di San Crescentino a cavallo richiama decisamente quella di San Giorgio che uccide il drago: “nel determinare la restituzione iconografica dell’evento, deve aver pesantemente influito la fama di san Giorgio, alla cui vicenda il comune elemento del drago rinviava in maniera fin troppo invitante” (Santanicchia, 2005, p. 176).
Il racconto di San Giorgio che uccide il drago per salvare la principessa risale solo ai tempi delle crociate e fu originato per via “di una errata interpretazione di un’immagine di Costantino. Da ciò il suo attributo frequente, la croce rossa in campo bianco”, la fama del santo ebbe poi ampia diffusione, intorno alla metà del Duecento, con la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze (m. 1298) (Licciardello, 2005, p. 132; Santanicchia, 2005, pp. 176 e 177).
Santanicchia ci mostra anche l’immagine di san Giorgio scolpita nella lunetta del portale del duomo di Ferrara tra il 1135 e il 1140 (fig. 8)

fig. 8

In quest’opera appare significativa l’assenza di qualunque riferimento araldico e persino vessillare. Il Santo mostra il lato interno dello scudo trattenuto dal braccio, segno inequivocabile della non importanza di quanto vi doveva eventualmente essere rappresentato (così come in molti sigilli equestri di quell’epoca sostanzialmente ancora prearaldica).

Dunque secondo Santanicchia l’influenza iconografica di san Giorgio su san Crescentino fu rilevante e “perdurò, ingenerando talvolta confusione”; ma, sempre secondo questo studioso, “ciò che non pare sia mai entrato nel novero degli attributi di Crescenziano, è invece proprio il vessillo crucesignato, nonostante le fonti ne facciano esplicita menzione: nel testo cinquecentesco recensito dai Bollandisti c’è un preciso riferimento ad un segno di Cristo ricevuto dal soldato, Christi signaculo insignitis. Non è detto che fosse presente in questa forma anche nella versione più antica della passio, e non è del resto scontata una lettura troppo letterale dell’espressione, ma è raro che tali spunti non vengano colti nella trasposizione iconografica; viene a questo punto da domandarsi se fu omesso con lo scopo di limitare la confusione con san Giorgio, che invece mostra sovente questo attributo" (Santanicchia, 2005, p. 177).
Premesso che esistono importanti rappresentazioni di san Giorgio senza alcun attributo araldico, il punto, l’oggetto di questa nostra disquisizione è questo: non è esatto affermare che san Crescentino (ovvero san Crescenziano) non fu mai rappresentato con l’attributo araldico della croce.
Infatti la presenza di questo emblema si riscontra nei sigilli del Comune di Urbino che Mirko Santanicchia non ha preso in considerazione nel pur ampio apparato iconografico analizzato nel suo contributo al convegno tifernate.
Nei sigilli dei comuni, nel Medioevo e nel Rinascimento, sono stati rappresentati spesso i santi patroni, e Urbino non fece eccezione, anzi. A parte la descrizione di un sigillo del 1232 nel quale doveva vedersi rappresentata un’aquila (Tonini, 1862, pp. 497 e 498), tutti i sigilli noti del Comune di Urbino vedono rappresentato san Crescentino a cavallo nell’atto di uccidere il drago.
Tra le impronte sigillari che ho potuto vedere durante le mie ricerche, molte mostrano il cavaliere con scudo e vessillo difficilmente leggibili, invece, altre, ci mostrano con chiarezza la presenza di uno scudo e di un vessillo crociato. Nel sigillo apposto in una lettera del 28 marzo 1507 si può rilevare, seppure a fatica, la croce sul vessillo, mentre è praticamente impossibile leggere il contenuto del piccolo scudo arrotondato imbracciato dal santo (ASRSM, Carteggio dei Capitani reggenti, busta 90, lettera del 28 marzo 1507) (fig. 9).

fig. 9

Molto più chiaramente il vessillo e lo scudo a targa, entrambi crociati, si vedono in altri sigilli come un quello impresso in un documento del 22 settembre 1568 (ASP-SU, Notaio Santinelli Orazio, n. 1168).
Allo stato delle nostre conoscenze attuali non sapremmo dire quali erano gli smalti di queste insegne araldiche. Probabilmente erano gli stessi delle insegne di san Giorgio. Del resto la croce rossa in campo argento è una tipica rappresentazione dell’insegna di Cristo (fig. 10). (fig. 10)
Il sigillo apposto sulla lettera del 1507, ma anche quello apposto sulla lettera del 1568 (a meno che quest’ultimo non fosse di recentissima realizzazione) dimostrano che la presenza degli attributi araldici crociati precedono l’opera di Tiranni, e non ne sono stati una conseguenza. L’estensore della biografia del 1567 si è dunque rifatto ad esempi iconografici preesistenti. Ma quanto antichi?
Purtroppo non ci siamo imbattuti in sigilli agiografici del Comune di Urbino precedenti il 1502, e per le fonti di carattere più spiccatamente religioso vale il discorso fatto da Santanicchia.
Ma proprio tra i documenti iconografici esaminati da Santanicchia dobbiamo evidenziare la probabile presenza di un vessillo in epoca ben più antica. Il documento in questione è la miniatura che decora l’antifonario n. 9 dell’Archivio capitolare del duomo di Urbino, datato 1348, opera di Niccolò Saraceno da Bagnacavallo (fig. 11).

fig. 11

Come ha evidenziato Pierluigi Licciardello è questo il più antico manoscritto urbinate noto che parla di san Crescentino (Licciardello, 2005, p. 120). L’Autore ha rilevato che nell’antifonario non si trova una biografia del santo, ma sono solo i testi e le melodie dei canti. Questi, ha significativamente osservato l’Autore, offrono metafore ed immagini della vita militare che “in questo caso […] non alludono solo al consueto tema della militia Christi, ma si riferiscono, com’è ovvio, anche alla tradizione cavalleresca del santo”, che, per l’Autore subisce un “influsso presumibilmente di area franca” (Licciardello, 2005, p. 125, nota 133).
Se in quest’opera non c’è il racconto della leggenda del drago, la miniatura parla da sé: san Crescentino a cavallo è intento a trafiggere il drago.
Opportunamente scontornata questa immagine del santo è stata posta nella copertina del volume degli atti di cui ci stiamo occupando (fig. 12). Già da questa immagine si evidenzia un curioso ispessimento della parte terminale rivolta verso l’alto della lancia. Qual è la ragione di quell’ispessimento?

fig. 12
Osservando la miniatura notiamo che la parte del campo che sovrasta la testa del santo mostra una lacuna di pigmento che sembra avere la forma di un lungo vessillo triangolare ondeggiante verso destra. La lacuna di pigmento si vede anche nella sottostante figura del drago.
Crediamo che non si possa escludere che in luogo di quella lacuna vi fosse rappresentato proprio un vessillo del quale è rimasta paradossalmente traccia per via della caduta del colore. In questo caso l’ispessimento dell’asta della lancia altro non rappresentierebbe che l’innesto del drappo sulla stessa.

La presenza del vessillo nella miniatura del 1348 andrebbe verificata con adeguate analisi; resta tuttavia il fatto che non potremmo comunque sapere di quale vessillo si doveva trattare: se il vessillo crociato attestato più tardi, o qualche altro vessillo.
Per inciso possiamo notare che nella miniatura del 1348 il santo non indossa l’armatura ma una veste azzurra e un mantello rosso foderato di vaio. L’assenza dell’armatura non toglie alcunché alla caratteristica di cavaliere. Infatti anche il conte Galasso da Montefeltro (morto proprio nel 1348) venne rappresentato in una miniatura con indosso una veste e un manto, dotato dei caratteristici speroni, con la spada al cingolo e in pugno una mazza d’arme (Franceschini, 1970) (fig. 13).
fig. 13
Dunque, come abbiamo visto, non è esatto quanto affermato da Santanicchia: “ciò che non pare sia mai entrato nel novero degli attributi di Crescenziano, è invece proprio il vessillo crucesignato”. Le fonti iconografiche urbinati attestano anche l’uso di tale insegna. Quanto alla domanda che pone l’Autore: “se fu omesso con lo scopo di limitare la confusione con san Giorgio, che invece mostra sovente questo attributo” (Santanicchia, 2005, p. 177), si deve rilevare che l’omissione o la presenza di questa insegna risulta un difficile fattore discriminante nell’individuazione di un santo piuttosto che l’altro. Sia perché molti san Giorgio non inalberano il vessillo e non imbracciano lo scudo crociato, contrariamente alla più classica rappresentazione, sia perché anche san Crescentino venne rappresentato con quelle insegne.

Il tema della confusione tra i santi Giorgio e Crescentino torna, a me pare prepotentemente, nelle importanti notizie che Franco Negroni ha tratto dagli archivi notarili di Urbino.
8 settembre 1329 […] Rog. Benveduto notaio nella piazza del Comune, dove è la Maestade di S. Giorgio avanti alla stazione di Alessandro notaio […]”; “1 gennaio 1408 […] in Civitate Urbini in platea magna ipsius Civitatis et prope trasanale positum ante maiestatem sancti Criscentini ubi priores populi dicte Civitatis iurant officium prioratus dicte Civitatis”; “18 ottobre 1417 […] Urbini in trazanali Ecclesie maioris Katredalis Civitatis predicte ubi posita est figura Georgii aliis armigeris, cui trazanali a primo latere est dicta ecclesia […]”; “29 giugno 1420 […] Urbini et in trazanali ecclesie Katredalis Civitatis Urbini ubi sunt picture hominum armigerum et sancti Georgii”; “6 novembre 1428 […] Urbini in trazanali maioris ecclesie ubi et quo daur iuramentum prioribus iuxta ipsam ecclesiam, plateam et alia latera […]” (Negroni, 1993, p. 25 nota 13).
I priori del popolo della città di Urbino, nell’atto di assumere il mandato, giuravano d’innanzi all’immagine maestà di San Crescentino. Questo dipinto si trovava nella piazza grande sotto il portico del duomo. Sempre sotto il portico del duomo queste fonti attestano la presenza di un immagine di San Giorgio con altri armigeri. Due maestà con santi pressoché identici, possibile?
A questo proposito Franco Negroni ha scritto: “Sicuramente tra i santi dipinti nella loggia del Duomo non mancava S. Giorgio, ma siamo certi che la figura preminente era quella di S. Crescentino, che per la strettissima somiglianza iconografica con quella di S. Giorgio, ai notai non proprio urbinati poteva essere motivo di equivoco” (Negroni, 1993, p. 25 nota 13). Erano dunque rappresentati entrambi i santi? Oppure qualche notaio confuse sbrigativamente e incredibilmente san Crescentino per san Giorgio? In questo secondo caso il tema della confusione ricordato da Santanicchia (Santanicchia, 2005, p. 177) sembrerebbe trovare applicazione concreta.

In tempi decisamente più recenti anche Pietro Sella, autore della rinomata edizione della raccolta I sigilli dell’Archivio Vaticano, così scriveva a proposito di un sigillo del Comune di Urbino del 1735: “Scudo sormontato da una corona sorretta da due angeli: San Giorgio che trafigge il drago; lo scudo di San Giorgio è a due bande” (Sella, 1946, II, p. 281). In questo caso a confondere Sella non ci sono gli attributi araldici, ma la semplice figura del santo col drago, visto che egli stesso annota che lo scudo del santo è a due bande e non crociato. Il sigillo descritto da Sella deve essere stato quello che si trova ancora in un documento del 1722 custodito nella biblioteca universitaria di Urbino (BUU, Fondo del Comune, Busta 170, fasc. 1, c. 84).


Ad integrazione dell’analisi delle fonti iconografiche esaminate nel convegno di Città di Castello, devo confermare il giudizio dato da Santanicchia sull’attendibilità delle xilografie dei sigilli dei vescovi urbinati pubblicate da Bramante Ligi nel 1953. Esse sono, in effetti, piacevoli interpretazioni artistiche degli originali che certo “non possono costituire una fonte iconografica attendibile in tutti i particolari” (Santanicchia, 2005, p. 181).
Un esempio dell’inattendibilità viene proprio dal sigillo del vescovo urbinate Bartolomeo Carusi (1347-1379) citato da Santanicchia in quanto contenente l’immagine del patrono di Urbino (Santanicchia, 2005, p. 181, Ligi, 1953, p. 69).
Grazie all’autorizzazione del Priore della Confraternita del Corpus Domini di Urbino, dott. Giuseppe Cucco, ho potuto esaminare il sigillo del vescovo Carusi appeso ad una pergamena datata 16 luglio 1348 (ACDU, pergamena n. 1).

Ebbene il sigillo mandorla è diviso in tre registri: quello superiore vede rappresentata la Vergine, quello centrale mostra san Crescentino a cavallo che uccide il drago con la lancia, mentre quello inferiore è in gran parte mancante e non ci è permesso di capire che cosa potesse esservi rappresentato. Forse l’immagine del vescovo orante, forse lo stemma del prelato? La xilografia pubblicata da Ligi tralascia completamente il registro inferiore, come se non esistesse. In più colloca il santo e in drago in posizioni molto diverse dell’originale. Nell’immagine pubblicata da Ligi il cavaliere ha l’elmo, in quello effettivamente rappresentato nel sigillo si individua una sorta di copricapo ma non possiamo dire con certezza se si tratti di un elmo. In entrambe le rappresentazioni il cavaliere non imbraccia uno scudo, quanto al vessillo, l’impronta sigillare non permette stabilirne la presenza o meno, mentre è completamente assente nella xilografia.

L’Autore cita anche un altro sigillo vescovile contenente l’immagine di san Crescentino, quello di Oddone Colonna (1380-1408), anch’esso pubblicato in xilografia da Ligi (Santanicchia, 2005, p. 181; Ligi, 1953). L’immagine pubblicata da Ligi mostra il santo con l’elmo, senza scudo e senza vessillo. Come sarà in realtà il sigillo appeso alla pergamena n. 7 dell’Archivio S. Croce di Urbino, datata 7 agosto 1406?
Carusi e Colonna furono vescovi negli anni del dominio di Antonio da Montefeltro (1375-1404), al quale è spesso attribuita una moneta citata anche da Licciardello e Santanicchia per via della rappresentazione del busto di san Crescentino (Licciardello, 2005, p. 126; Santanicchia, 2005, p. 181). Va detto però che questa moneta è stata da tempo attribuita al figlio di Antonio, il conte Guidantonio da Montefeltro (1404-1443) (Cavicchi, 2001, p. 33, n. 4) (fig. 14). Nella riproduzione al tratto di questa moneta pubblicata da Reposati nel 1772, il santo in armatura posto di fronte (che in effetti sembra essere a cavallo) impugna la lancia dotata di un vessillo bifido senza alcuna figura (Reposati, 1772, p. 125) (fig. 15).

fig. 14 fig. 15
Nella monetazione dei signori di Urbino si trovano anche altre rappresentazioni di San Crescentino.
In due monete di Guidobaldo (1482-1508): in una il santo è a cavallo, nell’altra il santo è appiedato, ma come si è visto in entrambi i casi l’asta della lancia ha un vessillo, purtroppo illeggibile (Cavicchi, 2001, p. 44, nn. 27 e 28).
Altre monete con san Crescentino a cavallo vennero coniate sotto tutti i duchi rovereschi tra il 1508 e il 1631 (Cavicchi, 2001, p. 59, n. 64, p. 60, nn. 65 e 66, p. 81, n. 121, p. 82, nn. 122, 123 e 124, p. 122, n. 224).
fig. 16

Imagine sancti Crescentini advocati et patroni.
Per antica tradizione si ha che gli urbinati, ogni volta che contro i nemici loro hanno spiegato lo stendardo del Gloriosissimo Martire s. Crescentino lor avvocato habbiano conseguite meravigliose vittorie” (Santanicchia, 2005, p. 181). Questo è quanto venne scritto nel 1567 nell’opera commissionata dall’arcivescovo Tiranni, e al di là del pomposo linguaggio, è indubbio che il santo patrono non fu solo un’icona ad uso religioso. Come si è detto l’immagine del santo divenne (come è accaduto spessissimo) parte del patrimonio emblematico della comunità. Si è visto il caso dei sigilli comunali in uso fino a pochi secoli or sono, ma appare con tutta evidenza dallo statuto della Città di Urbino del 1559 nel quale è prescritto il passaggio delle chiavi, del sigillo e del gonfalone al momento dell’insediamento del nuovo Gonfaloniere e dove il gonfalone è descritto “vexillu Sancti Crescentini” (BOP, Statuta Civitatis Urbini, 1959, cc. 4v e 6v). Ma lo si può vedere anche nella notizia riportata da Franco Negroni circa la commissione (datata 1509) a Timoteo Viti e Girolamo Genga per la realizzazione di un nuovo vessillo comunale in seta rossa: “vexillum pro dicta Comunitate cum imagine sancti Crescentini advocati et patroni huius nostrae civitatis ad utroque latere dicti vexilli super equo cum dracone sub pedibus dicti equi et aliis requisitis et cum arma dictae Communitatis deauratis et com aliis fulcimentis debitis ad eorum perfectionem infra terminum duorum mensium” (Negroni, 1993, p. 14 e 15, nota 9).

A questo proposito, va infine ricordata un’immagine di san Crescentino con in pugno un vessillo con l’arma antica dei Montefeltro (bandata d’azzurro e d’oro con l’aquila nera sulla seconda banda) in un quadro di Timoteo Viti ora all’Accademia di Brera a Milano (fig. 17).

fig. 17

Il vessillo, d’oro con le due lunghe code, mostra l’arma in uno scudo circolare. Per quanto mi risulta è la prima attestazione dell’uso dell’arma dei conti come arma della città.
Ritengo infatti che in quella rappresentazione il santo patrono di Urbino inalberi l’arma della comunità (“cum arma dictae Communitatis”) e non propriamente l’arma dei signori. Quet’arma cittadina sarebbe stata mutuata dai signori in circostanze a noi ancora ignote, verosimilmente tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento.
Lo stemma di Urbino era ormai quello antico dei Montefeltro, mentre questi ultimi usavano prevalentemente (ma non esclusivamente) quello inquartato fin dalla prima metà del Quattrocento. Che lo stemma di Urbino fosse ormai quello bandato è dimostrato, tra l'altro, dal bel sigillo del Collegio dei Dottori della Città di Urbino appeso ad una pergamena di laurea del 1588 (F. Farina, 2005, pp. 86 e 169) (fig. 18).

Fig. 18.

Fonti archivistiche
(ASRSM) Archivio dello Stato della Repubblica di San Marino, Carteggio dei Capitani reggenti.
(ASP-SU) Archivio di Stato di Pesaro, Sezione di Urbino.
(ACDU) Archivio Corpus Domini di Urbino, Pergamene.
(BUU) Biblioteca Universitaria di Urbino, Fondo del Comune.
(BOP) Biblioteca Oliveriana Pesaro, Statuta Civitatis Urbini.

Bibliografia
Cavicchi, 2001 - A. Cavicchi, Le monete del Ducato d’Urbino, Associazione Pro Urbino, Urbino, 2001.
Licciardello, 2005 - P. Licciardello, Culto e agiografia di san Crescenziano da Città di Castello a Urbino, in A. Czortek e P. Licciardello (a cura di), San Crescentino di Città di Castello, Diocesi di Città di Castello, Città di Castello, 2005.
Farina, 2005 - F. Farina (a cura di), Honor & meritus. Diplomi di Laurea dal XV al XX secolo, Panozzo Editore, Rimini, 2005.
Negroni, 1993 - F. Negroni, Il Duomo di Urbino, Accademia Raffaello, Urbino, 1993.
Reposati, 1772 - R. Reposati, Della Zecca di Gubbio, vol. I, Bologna, 1772.
Santanicchia, 2005 - M. Santanicchia, L’iconografia di san Crescenziano, in A. Czortek e P. Licciardello (a cura di), San Crescentino di Città di Castello, Diocesi di Città di Castello, Città di Castello, 2005.
Sella, 1946 - P. Sella, I sigilli dell’Archivio Vaticano, vol. II, Città del Vaticano, 1946.
Tonini, 1862 - L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, Rimini, 1862.
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