giovedì 26 aprile 2012

Son toscano e non lo sapevo...

Gironzolando per il web a caccia di immagini interessanti sulle quali arrovellare le meningi con elucubrazioni araldiche più o meno amene, mi sono imbattuto in un sito che pubblicizza le produzioni dell'artigianato artistico tradizionale della Toscana. Un sito di Artex Centro per l'Artigianato Artistico e Tradizionale della Toscana, patrocinato dalla Regione Toscana, dalla C.N.A. e da Confartigianato. Insomma roba grossa.
Ebbene, tra i prodotti della Tradizione Toscana ecco campeggiare tre dei vari scudi realizzati dalla ditta Casa della Pelle di Siena su mio disegno. Sull'aquila dei Prefetti di Vico intervennero fortunatamente le mani degli artisti senesi (la mia era davvero poco più di un abbozzo, ma meglio non avrei saputo fare), gli stemmi di Cesare Borgia e dei Del Monte-Della Rovere sono i miei...
A parte il fatto che per quel progetto (finanziato con soldi dell'Europa) io non ho visto un quattrino (ma i senesi sono innocenti), sono felice di scoprire in me una vena toscana che non conoscevo.
Bene :-)

Il sito è questo: http://www.collezionitoscane.info/it/azienda.html?azienda=58504

lunedì 9 aprile 2012

Il pianto dell’araldo e il cappellare lo stemma dei Brancaleoni.

Avevano nell’arme smalti belli. Bianco era il campo e azzurro era il leoncello.  Usavano gli smalti come altre casate: i conti di Carpegna, quelli di Piagnano e più in là casate altrettanto prestigiose. Tanto prestigiose che taluno volle fare dell’azzurro e del bianco i colori degli antichi conti carolingi, mentre altri subito lo smentirono.
Aggiunsero, non si sa ancora quando e perché, in capo una fascia rossa carica d’una croce bianca. Cavalleresco ordine? Una crociata? Un tardo richiamo imperiale? Di questo pare essersi persa ogni memoria.
In ogni caso un’arma bella, presente nel castello ed anche in antichi suppellettili lì ritrovati e visibili nel museo ivi allestito.
Nonostante ciò, no. S’è voluto cappellare. Così, gratuitamente, come se l’araldica non significasse niente. Come se i Brancaleoni antichi (di loro stiamo parlando), e finanche gli ultimi eredi urbinati, non avessero ossessivamente rappresentato quegli smalti nel loro stemma.
Anche chi non è amante della polvere degli archivi o chi disdegna le linde pagine dei libri stampati belli e pronti, doveva conoscere. Ma anche per costui si era scritto, tempo fa, sulla rete delle reti un primo, chiaro, contributo che chiunque avrebbe scovato digitando stemma Brancaleoni Piobbico in un motore di ricerca.
E invece no. Nemmeno quello, o nonostante quello, s’è voluto cappellare. Si è voluto prendere lo stemma in stucco del Brandani e usarlo tal quale come emblema del castello restaurato e musealizzato.
Ingannati dall’antica legge degli smalti codificata dai primi araldi, o per imperizia, o ancora per cosciente voglia di novità si è dotato lo scudo d’un campo azzurro a circondare il leone d’oro brandanesco.  Cosicché, salva la fascia, in barba all’artista urbinate, l’antico stemma con quegli smalti che accomunavano i diversi rami della casata, non c’è più.
E dunque, un qualunque Brancaleoni risvegliato oggi dal sonno eterno non dubiterebbe a muovere subito guerra al suo castello vedendovi sventolare un vessillo con un’arma aliena alla casata sua. Ma, giunto sotto le mura troverebbe a difendere il maniero solo un moderno sindaco, forse un presidente di proloco e un fiero creativo. Più in là l’araldo scrivente, piangente della sua impotenza, implorare i novelli signori del Piobbico di mutare subito l’arma, di restituire ad essa l’antica dignità e mutare con poca spesa quegli smalti. Per carità.