lunedì 24 settembre 2012

LA SALA DELL'ARALDICA A PIANDIMELETO

L'impronta del mio intervento nella Sala dell'araldica nel Castello dei conti Oliva di Piandimeleto.
Chi ha fretta può andare subito ai 7' e 14".


domenica 16 settembre 2012

IMAGO UNIVERSITATIS - Presentazione del II volume

 
Sabato 22 settembre p.v., alle ore 17, presso l'Archiginnasio di Bologna, verrà presentato il secondo volume dell'opera IMAGO UNIVERSITATIS dedicata alla quella che verosimilmente è la più grande raccolta di stemmi dipinti e scolpiti posti a "decorare" un edificio.
Sotto la direzione di Gian Paolo Brizzi, che da anni si occupa dello studio e del coordinamento delle iniziative relative alla storia dell'Ateneo felsineo, inquadrato nella più ampia storia del fenomeno universitario europeo, Andrea Daltri e Silvia Neri hanno prodotto un'opera colossale di catalogazione e interpretazione di oltre settemila stemmi di studenti, docenti e patroni della più antica istituzione universitaria del mondo.
Il primo volume contiene pregevolissimi saggi introduttivi, il secondo conterrà anche gli indici.


 
 
 

sabato 25 agosto 2012

Araldica dei Brancaleoni

Ieri sera ho dunque tenuto la conferenza sull'araldica dei Brancaleoni nella splendida cornice del locale castello.
Ho svolto il mio intervento seguendo questo programma:

Prima parte - L'araldica. Caratteristiche di un sistema di comunicazione.
Seconda parte - I Brancaleoni: primordi e ramificazioni.
Terza parte - Gli stemmi dei Brancaleoni. Fonti a confronto per i diversi rami: Rocca Leonella, Rimini, Castel Pecorari, Piobbico, Casteldurante e Mercatello-Sant'Angelo in Vado
Quarta parte - Considerazioni conclusive.

Ho presentato numerose fonti (primarie e secondarie) utili a individuare quale furono gli stemmi dei diversi rami della casata, rispondendo a domande che incredibilmente non erano mai state poste fino ad ora.
L'indagine, naturalmente, deve proseguire, ma son certo di aver documentato quanto basta a far piazza pulita di luoghi comuni privi di alcun fondamento storico.
Il sindaco di Piobbico, in conclusione del mio lungo intervento ha proposto la pubblicazione della relazione, ne darò conto.
Pur non essendo l'oggetto principale della conferenza (dedicata in generale all'araldica dei Brancaleoni) ho evidenziato e documentato l'errore che l'araldo aveva già individuato nella bandiera predisposta per il castello.

sabato 14 luglio 2012

CONFERENZA SULL'ARALDICA DEI BRANCALEONI

La recente querelle sulla bandiera adottata per il castello dei Brancaleoni a Piobbico (Pesaro-Urbino) ha evidenziato la necessità di fare il punto sulla conoscenza dell'araldica dell'articolata stirpe dei Brancaleoni che ebbe donini a Piobbico, Rocca Leonella, Castel Durante (Urbania), Mercatello sul Metauro e S. Angelo in Vado, Castel Pecorari ed altri luoghi.
Così, su questo argomento terrò una conferenza al castello di Piobbico nella giornata di venerdì 24 agosto prossimo alle ore 18.
Ringrazio il Sindaco e la locale Pro Loco che hanno voluto ospitare la chiaccherata araldica nell'ambito della Settimana Rinascimentale piobbichese.
Sarà l'occasione per ricordare la figura di Delio Bischi (+1998) cugino di babbo che impegnò gran parte delle sue ricerche ai Brancaleoni e ai loro castelli.

Dunque l'appuntamento è per
venerdì 24 agosto 2012
ore 18
a Piobbico, presso il Castello Brancaleoni

giovedì 28 giugno 2012

Araldo alla Festa in armi ARDET UT FERIAT - Urbino 20-22 luglio 2012

Dal 20 al 22 luglio prossimo venturo a Urbino, presso il parco della fortezza Albornoz, si svolgerà la prima edizione delle Festa in armi "Ardet ut Feriat" organizzata dalla compagnia d'arme dei Poeti della spada.


Nella Festa sarà presente l'araldo Montefeltro interpretato dal sottoscritto.
Presso il banco dell'araldo sarà possibile ammirare l'albero genealogico-araldico della casata dei Montefeltro, copie di antichi stemmari e una riproduzione del cimiero del conte Guidantonio da Montefeltro. Quando non altrimenti impegnato, l'araldo sarà a disposizione del pubblico per rispondere alle domande e per illustrare le fasi della battaglia del Cesano che verrà rievocata la sera di sabato 21 luglio. Sempre al banco sarà possibile ritirare una brochure per il Tour araldico della città di Urbino.




domenica 10 giugno 2012

Baldacchino processionale urbinate roveresco

Oggi 10 giugno 2012, festa del Corpus Domini, mi piace segnalare la presenza a Palazzo ducale di Urbino di un magnifico baldacchino processionale, verosimilmente usato in occasione delle solennità per questa importante festa. L’importanza della festa era tale che la sua celebrazione era prevista nello statuto cittadino con precise prescrizioni riguardo la partecipazione del magistrato cittadino e di altre pubbliche autorità “De venerando Corpore Christi, et luminaria fienda in eius festo”.

Il baldacchino si trova alla fine dell’intero percorso, laddove non tutti i visitatori arrivano, ed è un peccato. Va detto che tutta la collezione roveresca è collocata negli ambienti dell’ultimo piano del palazzo, realizzati con la soprelevazione decretata da Guidobaldo II Della Rovere.

Del tutto ingiustificata appare, invece l’impossibilità per il visitatore di godere appieno della bellezza del manufatto. Collocato in un ambiente in penombra, mostrante solo il fronte, senza possibilità alcuna per il visitatore di girarvi attorno. Ciò determina la possibilità di ammirare il fronte del baldacchino, ma assai difficilmente gli altri tre lati. La collocazione a 45° permetterebbe l’osservazione del fronte e di uno dei due fianchi, peraltro identici.

Che si tratti del baldacchino processionale per il Corpus Domini è deducibile dalla frequente presenza dell’ostensorio tra le decorazioni religiose (l’altra è una Vergine e poi il Cristo risorto).

Al di là della decorazione sacra (cui va aggiunto il magnifico cielo col Cristo risorto impugnante il vessillo crociato, circondato di fiammelle diffuse a raggiera), è particolarmente interessante e unica nel suo genere la decorazione pittorica dei pendenti laterali con gli stemmi di tutti i membri della casa ducale, più quello del vescovo (arcivescovo ?) in carica e quello della città.

C’è lo stemma del duca Guidobaldo II Della Rovere composto dall’unione della metà destra dell’arma dei Montefeltro e dalla metà sinistra dell’arma roveresca con in mezzo il palo della Chiesa con chiavi incrociate e l’ombrellino che intorno al 1555 sostituì (quasi definitivamente) la tiara presente nel palo fin dai tempi del duca Federico (1474). Lo scudo è circondato dal collare dell’ordine del Toson d’oro (ottenuto nel 1558) ed è timbrato da una corona

C’è lo stemma della duchessa Vittoria Farnese (sposata al duca nel 1548) che è composto dall’unione dell’arma del marito con quella paterna. Anche lo scudo della duchessa è timbrato da una corona.

C’è lo stemma del principe Francesco Maria che succederà al padre nel 1574 e che fino ad allora non avrà diritto al palo della Chiesa nello stemma. La corona è più semplice di quella paterna.

C'è lo stemma del cardinale Giulio fratello del duca, il cui scudo (senza palo della Chiesa) è decorato dagli ornamenti esterni confacenti alla sua carica ecclesiastica.

C’è lo stemma di Felice Tiranni, legatissimo ai Della Rovere che verrà premiato col privilegio del capo roveresco (non mi è ancora noto se come concessione ducale o a sottolineare il legame col cardinale Giulio). Lo scudo è decorato dagli ornamenti esterni caratteristici della carica ecclesiastica del Tiranni

C’è poi lo stemma della città di Urbino cha almeno dai primi anni del XVI secolo era ormai quella antica dei Montefeltro. Lo scudo non è timbrato da alcuna corona.

Tutti gli scudi sono sagomati in forme barocche cinquecentesche con cornici accartocciate dorate.

Dagli stemmi è possibile stabilire l'arco temporale della realizzazione del baldacchino.

Il termine ante quem parrebbe essere:
- quello della morte di Guidobaldo II avvenuta nel settembre 1574, ma va ricordato che dal 1572 i rapporti con la città di Urbino furono tesissimi, di più, la città fu considerata traditrice dal duca per via di una clamorosa rivolta per motivi fiscali ed è inverosimile che il baldacchino sia stato realizzato negli anni del dissidio.


- si rileva anche l'assenza dello stemma della principessa Lucrezia d'Este sposata da Francesco Maria nel febbraio 1570.

Propendo quindi per termine ante quem: 1569-71.

Il termine post quem può essere determinato così:

- dalla nomina ad arcivescovo metropolita di Felice Tiranni avvenuta nel 1563 (se vi sono gli ornamenti, non ritrovo gli appunti annotati su un foglio volante e non ho potuto eseguire fotografie), l’assenza del pallio e della croce a due traverse ricondurrebbe la data fino al 1551, di molto precedente ad altre utili;

- dall'aggregazione all'ordine del Toson d'Oro nell'agosto 1559 o al conferimento dell'insegna avvenuto nel gennaio 1561.

In conclusione va detto che il recupero e il restauro di questo prezioso manufatto è dovuto all'opera di Isidoro e Matteo Bacchiocca, restauratori di Urbino. E' prevista la prossima pubblicazione di un articolo di Matteo sul restauro in una rivista del settore.

Notizie su questo oggetto e un'immagine è visibile sul sito della ditta Bacchiocca.

giovedì 24 maggio 2012

Seguito della polemica sulla bandiera con lo stemma dei Brancaleoni di Piobbico


Il pianto dell’araldo che tradotto in uno stile un po’ burlesco e brusco per rifarsi alle origini della categoria, gente di poco rispetto, menestrelli, trombetti e affini ha avuto una risposta, che per ovvie ragioni di riservatezza non pubblico.
Però nelle more di qualche movimento, un sussulto di verità, che porti a rettificare lo stemma del vessillo, rendo pubbliche le mie repliche alle obiezioni poste al mio primo intervento postato in questo blog il 9 aprile 2012.

La replica alle osservazioni che stanno alla base della mia richiesta non proviene dal sindaco e nemmeno dal presidente della proloco, che ho citato come probabili responsabili della gestione del castello (che è demaniale e di cui non hanno la gestione), né dal grafico che ha realizzato la bandiera, ma dal curatore (e proprietario) della maggior parte delle collezioni esposte nel castello.  

Mi viene replicato che lo stemma che si è voluto rappresentare nella bandiera è quello del conte Antonio Brancaleoni.

Ebbene, lo stemma di Antonio Brancaleoni è rappresentato, con i suoi veri smalti, nella camera greca decorata nel 1585. Certo quello stemma è meno appariscente di quello in stucco del Brandani, ma c’è ed è accompagnato dalle iniziali del committente A B.

Il leone azzurro in campo bianco (con la brava fascia in capo) si trova anche in piatti in ceramica esposti nel museo, come ho ricordato nel mio intervento del 9 aprile.

Erano quelli, il bianco del campo e l’azzurro del leone, gli smalti dello stemma dei Brancaleoni, anzi degli stemmi di vari rami dei Brancaleoni. Su questo non c’è dubbio. Lo testimoniano gli esempi citati, ma anche altri.

Mi viene fatto notare che furono: “tanti i rami dei Brancaleoni , famiglia molto prolifera, ed ogni ramo nel tempo ha cercato di distinguersi dall'altro apportando qualche leggera modifica all'avito stemma di famiglia che rappresentava il leone rampante (…). Alcuni hanno modificato gli smalti altri addirittura hanno scelto una parte della nobile belva invece dell'intero animale”.

In effetti per quel che mi consta, nessuna famiglia dell’area ha avuto tante brisure dello stemma avito per meglio caratterizzare i diversi rami quanto i Brancaleoni.

Quelli di Piobbico: un originario leone azzurro in campo bianco.

Quelli di Castel Durante: brisarono l’arma del leone azzurro in campo bianco con l’aggiunta di una banda rossa. Tale stemma rimase comune a entrambe le linee a seguito della divisione tra Casteldurante da una parte (poi emigrato a Rimini dopo la cacciata ad opera di Guidantonio da Montefeltro su incarico di Martino V nel 1424) e Mercatello-Sant’Angelo in Vado dall’altra estintasi con Gentile prima moglie di Federico da Montefeltro, deceduta nel 1458.
Quelli di Castel Pecoraro: brisarono l’arma del leone azzurro in campo bianco assumendo una parte della “nobile bestia” una branca (come ricordato dal mio interlocutore), ma sempre azzurra in campo bianco.

Sembra che un altro ramo (mi pare per via della Rocca, ma questa è una parte che devo approfondire) giunto a Rimini mutò gli smalti della sua sola branca, forse proprio in un campo azzurro con la figura d’oro (secondo una delle indicazioni fornite dal Di Crollalanza nella sua confusa voce “Brancaleoni dell’Umbria” nel celebre Dizionario. Ma questa è un’altra storia che non riguarda il ramo di Piobbico e il suo castello.

Invece riguarda il ramo di Piobbico una delle più tarde attestazioni dello stemma a colori. Si trova in una delle sale della Biblioteca centrale dell’Univeristà di Urbino (palazzo Bonaventura): il leone è appunto azzurro (o un colore virato) in campo bianco con la fascia in capo.

Gli smalti sono dunque quelli che l’araldo invoca e non l’azzurro e l’oro presenti nello stemma della bandiera di cui si discute.

Si osserva, con riferimento al leon d’oro in stucco realizzato dal Brandani, che il celebre artista non avrebbe osato fare un’arma diversa da quella del committente.

Invece, alla luce di quanto detto poc’anzi il bel lavoro del Brandani si rivela per quello che è: una decorazione manierista in stucco dorato e naturalmente dorate sono le figure principali dell’arma: il leone e la croce. Non fu una variazione bizzarra e arbitraria dello stemma del committente. Tutti conoscevano lo stemma del signore e nessuno sarebbe stato ingannato da quell’interpretazione artistica.

Il bel leone brandanesco attira l’attenzione e col passare del tempo confonde le idee. Nessuno per secoli si è interessato a curare l’immagine dell’antica stirpe e la memoria si è persa. Capita, molto più spesso di quanto si pensi. Cito il caso dei Gozi di San Marino, eredi della casata degli Oliva conti di Piagnano e signori di Piandimeleto, che nel loro stemma hanno l’arma di quegli antichi signori, ma con gli smalti errati, ancora una volta.

Con riguardo a quanto da me scritto il 9 aprile scorso riguardo alla fascia con la croce posta in capo, risponde che la croce è quella dell’Ordine di Malta assunta dal conte Antonio che partecipò alla battaglia di Lepanto.

Sono molto lieto di sapere che la fascia con la croce è dovuta all’Ordine di Malta. D’altra parte era la prima delle tre ipotesi che, nel dubbio, ho citato come plausibili. Un incremento araldico che è dunque collegato alla battaglia di Lepanto, che a modo suo fu l’ultima crociata (seconda ipotesi citata). Nei miei pensieri io avevo ipotizzato (in attesa di poter verificare a tempo debito) un collegamento con l’intervento in terra d’Otranto citato dal Tarducci. Ma in effetti a me pare che la cosa debba essere approfondita, non solo perché Tarducci dice che la croce venne aggiunta in capo nientemeno che da Pazzo (1318-1327), ma perché compare anche sopra uno dei due leoni rappresentati negli statuti di Piobbico nell’edizione manoscritta del 1518 conservata al Senato. Sul fatto che la croce appaia sovente patente potremmo anche sorvolare.
 
Al mio citare un “tardo richiamo imperiale” si obietta: “mai un Imperatore avrebbe usato la croce come capo, essendo l'aquila Imperiale quello che connotava le sue gratificazioni e tale era la differenza che distingueva le grazie della Chiesa da quelle dell'Impero”.

Mi preme precisare, giusto per non far sembrare che il piangente araldo le spara grosse a casaccio, che il “tardo” richiamo imperiale (la terza ipotesi) si riferisce all’uso notorio dell’arma di rosso alla croce bianca caratteristica della parte imperiale o ghibellina che dir si voglia (nell’araldica civica, ma anche in quella nobiliare), contrapposta alla croce rossa in campo bianco tipica della parte guelfa e anti imperiale (si pensi al caso più noto di Milano, ma anche Firenze che non aveva una croce ma invertì gli smalti da ghibellini a guelfi nel 1252 con l’avvento del governo popolare, come ricorda Dante nel Paradiso). L’uso dell’aggettivo “tardo” si riferiva appunto ad un anacronismo, essendo caduto in disuso l’antico emblema imperiale ai tempi della comparsa della fascia nell’arma dei signori di Piobbico.

In definitiva l’araldo insiste nella necessità di modificare gli smalti dello stemma: campo bianco e leone azzurro, come nello stemma dei Brancaleoni di Piobbico, lasciando per buona la fascia in capo rossa con la croce bianca.

Vien definita la nostra polemica bizantina e estranea agli sforzi volti al prestigio del castello e delle sue collezioni.
Invece si tratta di ridare dignità allo stemma dei signori di Piobbico per adesione alla verità storica proprio per elevare il prestigio di questo prezioso bene monumentale.
La mia replica, inviata il 16 aprile, non ha avuto ancora risposta.


(Il vero stemma dei Brancaleoni di Piobbico - conte Antonio)

(Lo stemma "artistico" realizzato dal Brandani)

(Bandiera con lo stemma errato negli smalti del campo e del leone)

martedì 22 maggio 2012

L'araldica nei sigilli della famiglia di Paolo da Montefeltro (XIV sec.)

A. Conti
In "Nobiltà. Rivista di araldica, genealogia e ordini cavallereschi", marzo-aprile 2012, pp. 163-172.
 
Dall'Archivio di Stato di Mantova provengono i resti di sigilli aderenti del conte Paolo da Montefeltro (+1399) e di sua moglie Thora Gonzaga, che permettono di ampliare la conoscenza araldica della casata dei signori di Urbino, in particolare per quel che concerne l'uso dei cimieri. Quest'ultimo particolare, unito ad altri, permette finalmente di attribuire, ad un personaggio esattamente collocabile nella genealogia dei conti di Urbino, la matrice di un sigillo conservata nella splendida collezione Corvisieri del Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma (inv. 9529/503): si tratta di Ugolino, figlio di Paolo e di Thora.
 
(Ricostruzione del sigillo del conte Paolo, 1366)



giovedì 26 aprile 2012

Son toscano e non lo sapevo...

Gironzolando per il web a caccia di immagini interessanti sulle quali arrovellare le meningi con elucubrazioni araldiche più o meno amene, mi sono imbattuto in un sito che pubblicizza le produzioni dell'artigianato artistico tradizionale della Toscana. Un sito di Artex Centro per l'Artigianato Artistico e Tradizionale della Toscana, patrocinato dalla Regione Toscana, dalla C.N.A. e da Confartigianato. Insomma roba grossa.
Ebbene, tra i prodotti della Tradizione Toscana ecco campeggiare tre dei vari scudi realizzati dalla ditta Casa della Pelle di Siena su mio disegno. Sull'aquila dei Prefetti di Vico intervennero fortunatamente le mani degli artisti senesi (la mia era davvero poco più di un abbozzo, ma meglio non avrei saputo fare), gli stemmi di Cesare Borgia e dei Del Monte-Della Rovere sono i miei...
A parte il fatto che per quel progetto (finanziato con soldi dell'Europa) io non ho visto un quattrino (ma i senesi sono innocenti), sono felice di scoprire in me una vena toscana che non conoscevo.
Bene :-)

Il sito è questo: http://www.collezionitoscane.info/it/azienda.html?azienda=58504

lunedì 9 aprile 2012

Il pianto dell’araldo e il cappellare lo stemma dei Brancaleoni.

Avevano nell’arme smalti belli. Bianco era il campo e azzurro era il leoncello.  Usavano gli smalti come altre casate: i conti di Carpegna, quelli di Piagnano e più in là casate altrettanto prestigiose. Tanto prestigiose che taluno volle fare dell’azzurro e del bianco i colori degli antichi conti carolingi, mentre altri subito lo smentirono.
Aggiunsero, non si sa ancora quando e perché, in capo una fascia rossa carica d’una croce bianca. Cavalleresco ordine? Una crociata? Un tardo richiamo imperiale? Di questo pare essersi persa ogni memoria.
In ogni caso un’arma bella, presente nel castello ed anche in antichi suppellettili lì ritrovati e visibili nel museo ivi allestito.
Nonostante ciò, no. S’è voluto cappellare. Così, gratuitamente, come se l’araldica non significasse niente. Come se i Brancaleoni antichi (di loro stiamo parlando), e finanche gli ultimi eredi urbinati, non avessero ossessivamente rappresentato quegli smalti nel loro stemma.
Anche chi non è amante della polvere degli archivi o chi disdegna le linde pagine dei libri stampati belli e pronti, doveva conoscere. Ma anche per costui si era scritto, tempo fa, sulla rete delle reti un primo, chiaro, contributo che chiunque avrebbe scovato digitando stemma Brancaleoni Piobbico in un motore di ricerca.
E invece no. Nemmeno quello, o nonostante quello, s’è voluto cappellare. Si è voluto prendere lo stemma in stucco del Brandani e usarlo tal quale come emblema del castello restaurato e musealizzato.
Ingannati dall’antica legge degli smalti codificata dai primi araldi, o per imperizia, o ancora per cosciente voglia di novità si è dotato lo scudo d’un campo azzurro a circondare il leone d’oro brandanesco.  Cosicché, salva la fascia, in barba all’artista urbinate, l’antico stemma con quegli smalti che accomunavano i diversi rami della casata, non c’è più.
E dunque, un qualunque Brancaleoni risvegliato oggi dal sonno eterno non dubiterebbe a muovere subito guerra al suo castello vedendovi sventolare un vessillo con un’arma aliena alla casata sua. Ma, giunto sotto le mura troverebbe a difendere il maniero solo un moderno sindaco, forse un presidente di proloco e un fiero creativo. Più in là l’araldo scrivente, piangente della sua impotenza, implorare i novelli signori del Piobbico di mutare subito l’arma, di restituire ad essa l’antica dignità e mutare con poca spesa quegli smalti. Per carità.

mercoledì 28 marzo 2012

Disavventure araldiche dei Montefeltro su internet

I meriti della rete telematica internet sono enormi, buona parte del pianeta probabilmente non ne saprebbe più fare a meno. Va ricordato che al contempo a tanta parte della popolazione mondiale ne è precluso l’accesso per estrema indigenza oppure è fortemente limitato da regimi politici dispotici. Infatti, nonostante tentativi più o meno palesi di imbrigliare internet, la principale risorsa della rete è la libertà con tutti i pro e con tutti i contro.
Anche l’araldica ha trovato ovviamente spazio sul web. Siti, blog e anche gruppi Facebook sono dedicati alla materia.
Tra i più famosi c’è sicuramente heraldique-europeenne.org curato da Arnaud Bunel, che ha raccolto ridisegnando con stile uniforme e decisamente computerizzato una moltitudine di stemmi araldici europei.
E’ quasi ovvio che dedicandosi ai grandi numeri con modalità semi-artigiane il curatore sia potuto incorrere in errori, ed è quanto accaduto nella pagina dedicata ai Montefeltro, realizzata con la collaborazione di Angelo Bellettini: si veda heraldique-europeenne.org
Purtroppo non uno degli stemmi attribuiti ai Montefeltro è corretto.

Stemma attribuito alla casata

E’ una summa di imprecisioni, difficile sapere da quale cominciare. Intanto lo stemma che potremmo dire originario: è bandato d’oro e d’azzurro, mentre dovrebbe essere bandato d’azzurro e d’oro.
Questo stemma bandato è stato incrementato con un capo d’oro all’aquila bicipite di nero, coronata del campo. Ebbene, nonostante alcune testimonianze tardive, i Montefeltro non usarono mai un’arma simile, mai un capo, né tantomeno un’aquila bicipite. Mai.

E’ vero che esistono testimonianze tarde che descrivono o mostrano un arma bandata con un capo imperiale, ma si tratta di ricostruzioni o interpretazioni errate. Cadde nell’errore il celebre Pietrasanta nel suo lavoro Tesserae gentilitiae stampato in Roma nel 1638, ma anche l’autore di una celebre veduta urbinate (disegno acquerellato datato agli anni 1780-84). In questo secondo caso l’arma è attribuita a Urbino (col medesimo errore) e mostra sbarre in luogo di bande.




Si tratta in sostanza dell’errata riduzione dell’arma ducale roveresca operata con la semplice eliminazione dei quarti di sinistra e del palo della Chiesa.



L’arma che Bunel avrebbe dovuto inserire è quella bandata d’azzurro e d’oro, con la seconda banda caricata di un'aquila di nero a volo abbassato.


A Oddantonio da Montefeltro (+1444) è attribuito lo stemma precedente, munito di corona di stampo ducale e di manto rosso foderato d’ermellino.

Oddantonio fece uso di più modelli di stemmi, taluni davvero singolari, come quello alle tre aquile poste 2 e 1, ma mai usò uno stemma quale quello proposto da Bunel. Anzi, per quel che abbiamo rilevato nel corso delle nostre indagini, Oddantonio fu il primo a usare uno stemma inquartato.

A Federico (+ 1482) e a suo figlio Guidobaldo (+1508) è attribuito il medesimo stemma ed è questa l’unica cosa esatta. Tuttavia lo stemma proposto persevera negli errori precedenti ed è gravato da un altro ancora.

Ripeto: l’aquila in campo d’oro deve essere monocipite e a volo abbassato. Alzerà il volo solo per una corruzione del disegno nel XVII secolo, seguendo l’andazzo generale dello stile araldico di quegli anni.

I quarti bandati hanno gli smalti invertiti e manca l’aquila sulla seconda banda.
Il palo della Chiesa è errato anch’esso: i Montefeltro non usarono l’ombrellino, ma sempre e solo la tiara a sormontare le chiavi decussate.
Vale il discorso fatto sopra anche per il manto e la corona, con l’avvertenza che i Montefeltro usarono indicare il rango ducale acquisito definitivamente nel 1474 con una corona costituita da un cerchio d’oro gemmato. Niente fioroni e punte che compariranno solo in epoca roveresca.


E' corretto l’uso della giarrettiera per entrambi i duchi con l’avvertenza che tale decorazione cavalleresca poté essere usata da Federico solo dal 1474 e da suo figlio solo dal 1502.

Dopo aver segnalato al curatore del sito le incongruenze che ho evidenziato e dopo essermi dichiarato disponibile a collaborare per la correzione, non avendo ottenuto risposta, ho deciso di segnalare gli errori con questo post nel mio modesto blog.

Spero che qualcuno, competente a intervenire su Wikipedia, possa mettere mano alla cosa rimediando a questa tragica debacle araldica.

Il virus dell’arma errata (ma disegnata in modo evidentemente ritenuto accattivante, nonostante lo scudo sannitico) ha infettato gran parte dei siti che si occupano dei Montefeltro e non solo.
La fede (eccessiva) in Wikipedia quale fonte adeguata ha indotto evidentemente in errore anche chi opera al di fuori del web, come il disegnatore della copertina dell’illustre rivista “Studi Montefeltrani” n. 32.

E’ davvero uno sgarbo che i povero Montefeltro non meritano.

lunedì 26 marzo 2012

Federicus versus Oddantonius

Nell'ultimo numero della rivista "L'Eugubino" (a. LXIII (2012), n. 1, p. 14), è stato pubblicato il mio articolo Federicus versus Oddantonius negli affreschi di palazzo Beni. Si tratta dell'interpretazione di uno stemma che verosimilmente venne originariamente dipinto in onore di Oddantonio da Montefeltro, e che dopo l'omicidio del suo titolare, nella congiura del luglio 1444, venne attribuito al fratellastro Federico acclamato nuovo signore. Federico che probabilmente non estraneo al delitto.

venerdì 3 febbraio 2012

ARME E IMPRESE SFORZESCHE A PESARO IN ROCCA COSTANZA

Il dominio degli Sforza su Pesaro, durato dal 1445 al 1513 (con una parentesi dovuta all’occupazione di Cesare Borgia dal 1500 al 1503), seguì quello dei Malatesta iniziato nel 1285 e precedette quello dei Della Rovere che si protrasse fino al 1631 (anch’esso con una parentesi dovuta al dominio mediceo dal 1516 al 1519).
Primo signore sforzesco di Pesaro fu Alessandro, figlio illegittimo di Muzio Addendolo detto Sforza, che divenne signore di Pesaro per la vendita compiuta da Galeazzo Malatesta nel 1445. Tale compravendita avvenuta senza l’autorizzazione della Santa Sede, costò ai contraenti la scomunica pronunciata da papa Eugenio IV. Nel 1447 Niccolò V assolse tutti gli attori di quella vicenda e provvide a concedere il vicariato apostolico in temporali bus allo Sforza

Pesaro non è ricchissima di araldica monumentale, ma qualche segno dell’antico dominio dei suoi signori è rimasto.
Dei Malatesta lo stemma bandato nel portale della chiesa di San Domenico e in quello della chiesa di Sant’Agostino. Qui lo stemma malatestiano segue, sull’architrave della porta centrale quello, bello e semplice, del Comune cittadino: inquartato di bianco e di rosso. In quel ricco portale gotico, in un alto pinnacolo, si può osservare pur con difficoltà, un altro stemma malatestiano: è sempre l’arma bandata, ma racchiusa un uno scudo a targa con tacca per la lancia, timbrato da un elmo con un’ala per cimiero: è lo stemma di Malatesta dei Sonetti .
Anche dei Della Rovere è rimasto qualcosa, ma non molto. Le tre mete, impresa di Guidobaldo II, sopra l’ingresso dei giardini di villa Miralfiore, uno stemma all’angolo tra via Passeri e via dell’Arco, lo stemma di Eleonora Farnese-Della Rovere ora collocato sul bastione del Carmine, ma fino a poco tempo fa giacente nei magazzini del Museo Oliveriano come pezzo erratico di provenienza sconosciuta. Entrando nel cortile del palazzo ducale (ora Prefettura) il portale d’accesso alla scalinata è decorato con le imprese roveresche ed è ulteriormente ornato dallo stemma ducale con lo scudo ovale timbrato dalle tre mete e circondato dal collare dell’Ordine del Toson d’Oro.

Stemma di Giovanni Sforza all'ingresso di Rocca Costanza

Del dominio sforzesco restano tracce in gran parte abrase nel loggiato di Palazzo ducale: imprese ma verosimilmente anche stemmi. E’ invece completa la decorazione ad anelli con diamante dell’arco d’accesso al loggiato; c’è poi un bello stemma all’angolo tra via Mazza e piazza Antaldi (partito semitroncato: nel 1° il leone col cotogno; nel 2° a) l’ondato, b) l’impresa dell’anello col fiore), sotto la dicitura VMANITAS IO SF. Infine lo stemma murato sopra l’ingresso di rocca Costanza, accompagnato dalla dicitura IOANNES SFORTIA, segno ben più forte di quello lasciato da Costanzo Sforza nelle pur eleganti troniere in pietra con la sigla C[OSTANTIO] S[FORTIA].
Questo quanto si può vedere con un po’ d’attenzione, girando liberamente per la città. Altre testimonianze araldiche sono sicuramente rintracciabili all’interno degli edifici, delle chiese, dei musei. In questa sede desidero occuparmi proprio di stemmi attualmente non ancora ordinariamente visibili alla cittadinanza.


Troniera con la sigla di Costanzo Sforza

La rocca di Pesaro, per secoli inaccessibile alla cittadinanza, prima per ragioni militari poi per essere stata adibita a carcere, negli ultimi anni è divenuta oggetto di interventi di restauro e di recupero funzionale. Nelle more di questi lavori (non ancora conclusi) è stato più volte permesso l’accesso pubblico, prima per visite straordinarie poi in occasione di importanti eventi culturali e ricreativi, ultimo dei quali l’edizione nazionale della Festa Democratica nell’estate del 2011. Tutto ciò ha messo la cittadinanza pesarese, e non solo, a confronto col principale apparato decorativo della rocca, un tempo destinato alla sola corte signorile e a quanti erano da questa ammessi nella possente fortezza: militari, ospiti illustri, ma anche malcapitati carcerati per lo più anch’essi di nobile lignaggio  .
Le residenze signorili erano ovviamente dotate di raffinate decorazioni (spesso di carattere araldico ed emblematico), ma anche le installazioni militari, specialmente quelle che per ragioni di sicurezza avrebbero potuto ospitare la corte, erano sovente dotate di tali apparati. E’ il caso della rocca di Pesaro.
Tutto ciò avveniva, a maggior ragione, se si pensa che gli architetti dell’una e dell’altra tipologia di residenza erano talvolta i medesimi. La parte residenziale di Rocca Costanza (1), così come quella di Senigallia fu infatti progettata da quel Luciano Laurana che già aveva impresso un segno decisivo nell’edificazione e nella decorazione del celeberrimo Palazzo ducale di Urbino.
Le note che seguono sono dunque dedicate a quanti, curiosi, si soffermeranno ad ammirare gli scudi scolpiti che decorano il cortile della rocca, permetteranno loro di saperne qualcosa di più.
Le decorazioni di cui mi occuperò in questa sede ornano i capitelli dei pilastri del porticato del cortile della rocca che si dispone sui lati Ovest e Sud. Sul primo sono collocati anche due scudi in pietra erratici. Ci occuperemo anche di quelli.

Rocca Costanza dall'alto e prospetto dei lati del cortile con stemmi e imprese

Il lato Ovest del porticato è quello sul quale si affaccia l’ingresso alla rocca, ed è adeguatamente decorato al fine d’essere il principale dei due. I larghi pilastri che sostengono l’arco d’accesso sono arricchiti ognuno con due lesene con capitello scolpito. I capitelli delle lesene interne mostrano scudi con l’impresa del morso (a destra) e del giogo spezzato (a sinistra), mentre i capitelli delle lesene esterne sono entrambi decorati con l’arma inquartata Impero-Sforza. Tale composizione appare dunque concentrica. L’ulteriore pilastro a destra ha il capitello della lesena decorato con lo scudo con l’impresa della scopetta, mentre quello a sinistra risulta illeggibile, forse per abrasione. Verosimilmente doveva esserci un’altra impresa o la divisa della casata che vediamo rappresentate sul lato sud del porticato.


Stemma abraso
Nel lato meridionale non pare potersi individuare un ordine particolare nella disposizione delle insegne. L’estremo pilastro a destra è angolare, privo di lesene, ha i tre lati che si affacciano sul cortile decorati da una sorta di cornicione con tre scudi: l’estremo a destra reca l’impresa dei semprevivi, quello centrale lo stemma della vipera viscontea e quindi sul lato che sostiene l’arco c’è lo scudo con l’impresa del morso. Gli altri cinque pilastri hanno la lesena e nel capitello di ciascuna sono rappresentati (sempre da destra): lo stemma sforzesco del Leone col Cotogno, l’impresa del Giogo spezzato, la divisa di casa Sforza, l’impresa della Scopetta e in fine l’arma inquartata Impero-Sforza.
Questa la serie originale delle decorazioni araldiche del cortile: tutte racchiuse entro stemmi a testa di cavallo affiancati dalle sigle IO[ANNES] SF[ORTIA].
In epoca verosimilmente successiva, sono stati murati nei grandi pilastri dell’arco di accesso nel lato Ovest, due grandi scudi di foggia veneziana, alquanto rovinati, verosimilmente già utilizzati come chiave di volta in altro edificio. A destra l’arma inquartata Impero-Sforza, a sinistra l’impresa del Giogo spezzato.

Stemmi erratici: l’arma sforzesca inquartata Impero-Sforza e l’impresa del Giogo spezzato


Lo studio dell’ordinativo del materiale lapideo necessario a decorare il cortile e le stanze che su questo si affacciano (1479) ha permesso a Francesco Ambrogiani di ipotizzare un ben diverso originario progetto la uraniano (2): due porticati di otto archi su sette colonne per lato, sviluppati sui lati Sud e Nord del cortile, parallelamente alla direttrice che, attraversando quest’ultimo, porta direttamente dall’ingresso della rocca all’ingresso del maschio. Un apparato architettonico ben diverso dall’attuale, evidentemente non realizzato per un quarto di secolo e poi abbandonato non si sa per quale motivo (3).
E’ possibile che le pietre d’Istria usate per i capitelli degli attuali pilasti siano state ricavate da quelle originariamente destinate a costituire il fregio passante sopra gli archi nella soluzione di Laurana ipotizzata da Ambrogiani. Va notato, però, che ormai all’inizio del Cinquecento lo stile araldico (soprattutto nella scelta del tipo di scudo a testa di cavallo), è ancora quello tardo quattrocentesco. Forse, oltre ai desiderata di Giovanni potrebbero aver giocato un ruolo in questa scelta sia l’origine urbinate dell’architetto incaricato di completare i lavori della Rocca: Girolamo Genga (4); ma forse anche l’esistenza di bozzetti appositamente realizzati da Laurana prima della morte avvenuta a Pesaro, nel 1479.  Gli scudi erratici ai quali abbiamo accennato hanno un’altra forma, sono del tipo veneziano già in uso del Quattrocento, ma più diffusi nel secolo successivo.


Stemma dei Visconti
Stemma Visconti lato Sud

Le origini di questo stemma si perdono tra dati storici documentati e leggende (5). Le prime testimonianze sono attestate al XII secolo nel palazzo vescovile di Legnano. Bonvesin della Riva sostenne che nel XIII secolo ai Visconti venne concesso l’uso del vessillo con la vipera, già dispiegato dal Comune milanese in battaglia. Nella monetazione l’animale compare, in posizione defilata, acquisterà una posizione preminente solo a partire dagli anni ‘30 del Trecento, con Azzone Visconti. La corona della vipera venne concessa dai duchi d’Austria Ottone e Alberto agli inizi del XIV sec (6).
Il 4 gennaio 1395 Gian Galeazzo Visconti, elevato alla dignità di duca di Milano, unì in uno stemma inquartato l’arma con l’aquila dell’Impero e quella della vipera questo stemma venne denominato Ducale (7).
Il Ducale divenne patrimonio araldico sforzesco con il contratto matrimoniale tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti figlia di Filippo Maria, nel 1432 (il matrimonio sarà celebrato solo nel 1441). In quell’occasione, infatti, Francesco venne ammesso nella famiglia ducale milanese con diritto al cognome e allo stemma. Il Ducale con la vipera e l’aquila, fu dunque patrimonio araldico del ramo milanese della stirpe sforzesca.  Come omaggio ai potenti cugini milanesi o come segno d’alleanza, compare nella serie araldica di Rocca Costanza lo stemma della Vipera, ma non il Ducale, che è invece rappresentato nella rocca di Gradara. Un’assenza che non ha dunque ragioni politiche, sulla quale ritorneremo in conclusione.
Il campo dello stemma con la Vipera è generalmente d’argento, la biscia verde o azzurra, con scaglie e cresta. La corona d’oro. Per Camin e per Maspoli la persona nella bocca della Vipera (l’ingollato) è un saraceno, in linea con la tradizione prevalente. Maurizio C.A. Gorra, dopo un esame delle diverse ipotesi già formulate, ne avanza un’altra: potrebbe trattarsi della rappresentazione araldica del motivo del profeta Giona rigettato dal pistrice (8).


Stemma degli Sforza
Stemma degli Sforza lato Sud
Questo stemma degli Sforza, col leone e il cotogno, venne a comporsi con la concessione dell’imperatore Roberto di Baviera a Muzio Attendolo nel 1401. Il Leone alluderebbe alla forza del condottiero mentre il cotogno, emblema di Cotignola patria di Muzio, sarebbe stata la primitiva arma del condottiero (9).
In questo stemma il leone tiene la branca destra sopra il cotogno (in altri stemmi non è così) la motivazione di questa particolare postura del leone è stata così giustificata dal Minuti nella sua Vita di Muzio Attendolo Sforza: “col codogno in la gamba manca, e la gamba dericta sopra al codogno, dicendo Sforza che voleva el leone tegnisse la gamba directa de sopra per defensione del cotogno; però che tenendo el codogno de sopra pariva lo offrisse per dare ad altri”. Muzio e tutti gli Attendoli vennero creati conti di Cotignola dall’antipapa Giovanni XXIII nel 1411.


Stemma inquartato Impero-Sforza
Stemma Impero-Sforza lato Sud      

Stemma Impero-Sforza lato Ovest (a destra)

Stemma Impero-Sforza lato Ovest (a sinistra)

Come si è già ricordato, nel 1395 lo stemma dei Visconti con la Vipera venne inquartato con quello imperiale d’oro all’aquila di nero coronata del campo. Lo stemma imperiale faceva già parte del corredo araldico dei Visconti in quanto vicari imperiali (tali dal 1294), ma venne unito nel nuovo stemma specificatamente definito Ducale, quando Gian Galeazzo Visconti divenne duca di Milano (10). Si trattò dunque di un motu proprio visconteo, non di una vera e propria concessione imperiale. Quello stemma diventò per le ragioni già ricordate patrimonio degli Sforza milanesi.
Ma l’aquila imperiale entrò anche nel patrimonio araldico degli Sforza pesaresi tramite la concessione dell’imperatore Federico III  del 22 gennaio 1469 (11).
Lo stemma inquartato mostra ovviamente l’aquila imperiale (si noti monocipite) in posizione d’onore, nei quarti I e IV ed è quello rappresentato a Rocca Costanza.


Impresa dei semprevivi
Impresa dei Semprevivi lato Sud
Secondo Carlo Maspoli questa impresa fu creata per Francesco Sforza, fratello di Alessandro signore di Pesaro; alla figura era unito il motto MIT ZEIT (col tempo) quando i due semprevivi ai lati saranno cresciuti alla medesima altezza di quello centrale, il duca conseguirà vittoria sui suoi nemici (12).


Impresa del morso

Impresa del Morso lato Sud

Impresa del Morso lato Ovest

Questa impresa sembra risalire a Gian Galeazzo Visconti (ante 1394): Il morso era accompagnato dal motto ICH VERGIES NIT (io non dimentico) (13).
Questa impresa è ampiamente rappresentata anche a Palazzo ducale di Urbino (14) e nel castello-palazzo dei conti Oliva a Piandimeleto (15).


Impresa della Scopetta
Impresa della Scopetta lato Sud

Impresa della Scopetta lato Ovest

Impresa di Francesco Sforza, oggetto d’uso quotidiano casalingo per rimuovere la polvere.
Nel cartiglio è comunemente scritto il motto MERITO ET TEMPORE (16).
Si trova anche a Urbino ed è scolpita a Palazzo ducale di Pesaro.


Impresa del Giogo spezzato
Impresa del Giogo spezzato lato Sud

Impresa del Giogo spezzato lato Ovest
Tra tutte le imprese rappresentate a Rocca Costanza, questa è l’unica creata appositamente per Giovanni. Il giogo spezzato, unito al motto PATRIA RECEPTA, allude chiaramente alla fine della cattività ed al recupero del dominio pesarese dopo la tragica esperienza Borgiana.
Spalleggiato dal padre, papa Alessandro VI (che destituì il signore di Pesaro con la scusa del mancato pagamento di censi alla Camera Apostolica), a metà ottobre del 1500 il Valentino era il nuovo signore di Pesaro (17). Tre anni dopo, caduto in disgrazia il Borgia, Giovanni tornò il signore pesarese (18). A ricordo della vicenda adottò questa impresa di cui fece ampio uso anche nella monetazione.
Solo questa impresa è rappresentata col motto (scolpito nello scudo) mentre tutte le altre, contrariamente all’uso consueto non riportano il motto, nemmeno su un cartiglio.


Divisa sforzesca

Abbiamo lasciato per ultimo lo scudo con la divisa sforzesca, sulla quale possiamo fare qualche riflessione in più. Il termine divisa nasce in ambito militare, come un terzo sistema di riconoscimento e di auto rappresentazione oltre a quello araldico e a quello delle imprese. Con queste ultime ebbe però contatti più frequenti, quasi costanti.

Molte rappresentazioni di battaglie del XV secolo mostrano l’ampio uso di queste divise (e per contro la scarsa presenza degli stemmi araldici propriamente detti) sugli abiti e gli scudi dei combattenti, sulle bandiere e sui pennoni delle trombette, sulle gualdrappe dei cavalli. I colori di queste divise decoravano le calzabrache dei fanti (19).

La divisa sforzesca è composta da un inquartato: di rosso nei quarti 1° e 2° e ondato d’azzurro e bianco nel 2° e 3°. Su questo elemento base, o meglio, sui campi di rosso, i diversi appartenenti alla famiglia aggiunsero di volta in volta (ma non sempre) altre figure, per lo più imprese.

Nello scudo con la divisa nella rocca Costanza i quarti rossi sono rispettivamente caricati dell’impresa dell’Anello col diamante e il fiore di melograno e dell’impresa del Volo legato.

L’ondato  inquartato col rosso fu la divisa assunta da Muzio Sforza, capostipite della casata fin dall’epoca del servizio presso la compagnia Alberico da Barbiano (20). Divenne poi patrimonio comune di tutta la famiglia, quindi anche di Giovanni, che la fece rappresentare nella serie degli scudi della rocca pesarese. Sull’uso del termine ondato si sofferma a lungo Cambin, che la definisce impresa (21), mentre a mio giudizio è propriamente una divisa.

Anche l’impresa dell’anello col diamante e il fiore di melograno divenne parte del patrimonio araldico familiare con Muzio che nel 1409 ricevette in dono dal marchese di Ferrara Nicolò III d’Este (22) uno stendardo con l’impresa dell’Anello (23).

Per quanto ne so non è nota l’origine della seconda impresa: il Volo legato.

Nel XVIII secolo Vincenzo Bellini, credette di riconoscere nelle minute rappresentazioni di questa impresa nelle monete pesaresi delle corna di daino. Lo corresse qualche anno dopo Annibale degli Abati Olivieri: “tali veramente pajono; ma non è, che io non stia in dubbio, che siasi piuttosto voluto rappresentare due ali di Nottola” (24) e ancora “ma non può dubitarsi, che il simbolo espresso in queste monete non siano un par d’ale, se di Nottola, o di Drago, nol determino; ma ale son certamente, e questa è una delle imprese, che furono dagli Sforza usate, che vedonsi ne’ capitelli delle logge di corte, e in quelli della loggia di Fortezza, i quali lavori essendo in grande, ci mettono in tutta sicurezza di non errare nel determinare ciò che fu espresso in queste piccole monetine”.

Drago o nottola? L’arcano pare ancora irrisolto. Certo il celebre mostruoso cimiero sforzesco del drago con la testa di vecchio tenente l’anello, sembra spingere verso l’ipotesi delle ali di drago, anche se quest’ultimo risulta spesso rappresentato con una cresta sul dorso, in luogo delle ali presenti per esempio nel trittico della bottega di van der  Weyden o nello Stemmario trivulziano (25). Le imprese sono per lo più, se non addirittura sempre, estranee alle figure dell’arma. Trattandosi però del cimiero, chissà…
L’immagine non aiuta, forse potrà sciogliere il nodo una qualche fonte letteraria.

 Anche se non rientra nello stretto argomento di questo intervento su Rocca Costanza, mi piace segnalare, a proposito della divisa sforzesca pesarese altri scudi in pietra.

Nell’angolo tra via Mazza e piazza Antaldi, murata su una casa di fila, c’è una pietra d’angolo fatta collocare da Giovanni Sforza (VMANITAS IO SF).  V’è rappresentato uno scudo a testa di cavallo partito, semitroncato: nel 1° l’arma del leone col cotogno (che dà su via Mazza), nel 2° l’impresa dell’anello col diamante e nel 3° l’ondato (che danno su piazza Antaldi. La dicitura scolpita in un’altra pietra sta ad indicare l’opera munifica del signore a vantaggio della città.

A Gradara, murati nella torre della porta del castello, stanno due magnifici scudi gotici. Quello a destra contiene l’impresa dell’anello col fiore, quello di sinistra il volo legato. Il primo è accompagnato dalla dicitura AL[LESANDRO] SF[ORZA], l’altro dalla data 1464, l’anno dopo la conquista sforzesca ai danni del Malatesta.

Impresa dell'anello col fiore e del volo legato a Gradara

Stemma di Giovanni Sforza a Pesaro, angolo via Mazza - piazza Antaldi

 

Assenza dell’incremento Aragonese
Per concludere torniamo alla Rocca pesarese. La serie araldica di rocca Costanza costituisce la parata degli emblemi (armi, divisa e imprese) degli Sforza pesaresi, ma non è completa. Non compare il loro stemma inquartato con l’arma dei sovrani aragonesi di Napoli, che pure spettava loro fin dal 1473 al pari del cognome d’Aragona (26) .
Usarono il composito stemma dei re di Napoli sia Costanzo che Giovanni, collocandolo nei quarti 2° e 3°, avendo cura di lasciare l’aquila imperiale nel 1° e limitandosi a rappresentare quella originaria della famiglia solo nell’ultimo quarto.
Grosso di Costanzo Sforza

Grosso di Giovanni Sforza

E’ un’assenza dettata da ragioni politiche? Oppure la serie non è completa? A quanto ci risulta Giovanni si firmerà sempre come d’Aragona, anche dopo la parentesi borgiana.
Non compare nemmeno l’impresa del sole radiante, che pur era rappresentata in una bandiera rossa donatagli nel 1483 dal duca di Milano Giovanni Galeazzo Sforza (27).




Cronologia dell’edificazione di Rocca Costanza (28)
1474 (3 giugno) posa della prima pietra, inizio dei lavori.
1475-79  Luciano Laurana che dirige i lavori. Gli subentra Matteo Cherubino già suo collaboratore.
1483 morte di Costanzo, la rocca è sostanzialmente terminata.
1500-1503 occupazione del Valentino, viene realizzato il fossato
1505 Lavori di completamento e abbellimento della rocca, probabilmente sotto la direzione dell’urbinate Girolamo Genga.
 
 
Note
(1) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui protagonisti di Rocca Costanza, in “Pesaro Città e Contà”, n. 21, Pesaro 2005, pp. 90-92.
(2) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui progettisti di Rocca Costanza, cit., pp. 94-96.
(3) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui progettisti di Rocca Costanza, cit., p. 96.
(4) Muratore direttore dei lavori fu tal Andrea di Girolamo della Ciacca di Sant’Angelo in Lizzola, F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, Pesaro Città e Contà - Link, Pesaro 2009, p. 394.

(5) C. MASPOLI (a cura), Stemmario trivulziano, Orsini De Marzo Editore, Milano 2000, pp. 27 e 28; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi. Bottino della battaglia di Giornico1478. Stemmi – Imprese – Insegne, Società Svizzera di Araldica, Lucerna 1987, pp. 100-106.

(6) G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., p. 108.

(7) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 28.

(8) M.C.A. GORRA, Il biscione e l’uscente: storia di un mito, in “Cronaca Numismatica”, n. 173, aprile 2005, pp. 26-32.

(9) G. CAMBIN, Le Rotelle milanesi, cit., p. 109.

(10) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 28.

(11) G. MURANO, Colligite fragmenta, Accademia Raffaello, Urbino 2003, p. 220.

(12) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., pp. 38 e 39; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., pp. 458 e 465.

(13) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 36; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., p. 446.

(14) A. CONTI, Osservazioni sull’araldica degli Oliva, STIBU, Urbania 2004, p. 91 e nota 37.

(15) A. CONTI, Osservazioni sull’araldica degli Oliva, cit., p. 91, il motto è qui erroneamente indicato come Ich Vereis Nit invece che Ich Vergies Nit”.

(16) C MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., pp. 37 e 38, G. CAMBIN, Le Rotelle milanesi, cit., p. 457.

(17) F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, cit., p. 300-304.

(18) F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, Pesaro, cit., p. 339-349.

(19) Sulle divise si veda M. PREDONZANI, Anghiari. 29 giugno 1440, Il Cerchio, Rimini, 2010.

(20) M. PREDONZANI, Anghiari. 29 giugno 1440, cit., pp. 152, 158-159.

(21) G. CAMBIN,Le rotelle milanesi, pp. 208-218.

(22) V. FERRARI, L’araldica estense nello sviluppo storico del Dominio ferrarese, Belriguardo, Ferrara 1989, pp. 108-113.

(23) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 40.