venerdì 3 febbraio 2012

ARME E IMPRESE SFORZESCHE A PESARO IN ROCCA COSTANZA

Il dominio degli Sforza su Pesaro, durato dal 1445 al 1513 (con una parentesi dovuta all’occupazione di Cesare Borgia dal 1500 al 1503), seguì quello dei Malatesta iniziato nel 1285 e precedette quello dei Della Rovere che si protrasse fino al 1631 (anch’esso con una parentesi dovuta al dominio mediceo dal 1516 al 1519).
Primo signore sforzesco di Pesaro fu Alessandro, figlio illegittimo di Muzio Addendolo detto Sforza, che divenne signore di Pesaro per la vendita compiuta da Galeazzo Malatesta nel 1445. Tale compravendita avvenuta senza l’autorizzazione della Santa Sede, costò ai contraenti la scomunica pronunciata da papa Eugenio IV. Nel 1447 Niccolò V assolse tutti gli attori di quella vicenda e provvide a concedere il vicariato apostolico in temporali bus allo Sforza

Pesaro non è ricchissima di araldica monumentale, ma qualche segno dell’antico dominio dei suoi signori è rimasto.
Dei Malatesta lo stemma bandato nel portale della chiesa di San Domenico e in quello della chiesa di Sant’Agostino. Qui lo stemma malatestiano segue, sull’architrave della porta centrale quello, bello e semplice, del Comune cittadino: inquartato di bianco e di rosso. In quel ricco portale gotico, in un alto pinnacolo, si può osservare pur con difficoltà, un altro stemma malatestiano: è sempre l’arma bandata, ma racchiusa un uno scudo a targa con tacca per la lancia, timbrato da un elmo con un’ala per cimiero: è lo stemma di Malatesta dei Sonetti .
Anche dei Della Rovere è rimasto qualcosa, ma non molto. Le tre mete, impresa di Guidobaldo II, sopra l’ingresso dei giardini di villa Miralfiore, uno stemma all’angolo tra via Passeri e via dell’Arco, lo stemma di Eleonora Farnese-Della Rovere ora collocato sul bastione del Carmine, ma fino a poco tempo fa giacente nei magazzini del Museo Oliveriano come pezzo erratico di provenienza sconosciuta. Entrando nel cortile del palazzo ducale (ora Prefettura) il portale d’accesso alla scalinata è decorato con le imprese roveresche ed è ulteriormente ornato dallo stemma ducale con lo scudo ovale timbrato dalle tre mete e circondato dal collare dell’Ordine del Toson d’Oro.

Stemma di Giovanni Sforza all'ingresso di Rocca Costanza

Del dominio sforzesco restano tracce in gran parte abrase nel loggiato di Palazzo ducale: imprese ma verosimilmente anche stemmi. E’ invece completa la decorazione ad anelli con diamante dell’arco d’accesso al loggiato; c’è poi un bello stemma all’angolo tra via Mazza e piazza Antaldi (partito semitroncato: nel 1° il leone col cotogno; nel 2° a) l’ondato, b) l’impresa dell’anello col fiore), sotto la dicitura VMANITAS IO SF. Infine lo stemma murato sopra l’ingresso di rocca Costanza, accompagnato dalla dicitura IOANNES SFORTIA, segno ben più forte di quello lasciato da Costanzo Sforza nelle pur eleganti troniere in pietra con la sigla C[OSTANTIO] S[FORTIA].
Questo quanto si può vedere con un po’ d’attenzione, girando liberamente per la città. Altre testimonianze araldiche sono sicuramente rintracciabili all’interno degli edifici, delle chiese, dei musei. In questa sede desidero occuparmi proprio di stemmi attualmente non ancora ordinariamente visibili alla cittadinanza.


Troniera con la sigla di Costanzo Sforza

La rocca di Pesaro, per secoli inaccessibile alla cittadinanza, prima per ragioni militari poi per essere stata adibita a carcere, negli ultimi anni è divenuta oggetto di interventi di restauro e di recupero funzionale. Nelle more di questi lavori (non ancora conclusi) è stato più volte permesso l’accesso pubblico, prima per visite straordinarie poi in occasione di importanti eventi culturali e ricreativi, ultimo dei quali l’edizione nazionale della Festa Democratica nell’estate del 2011. Tutto ciò ha messo la cittadinanza pesarese, e non solo, a confronto col principale apparato decorativo della rocca, un tempo destinato alla sola corte signorile e a quanti erano da questa ammessi nella possente fortezza: militari, ospiti illustri, ma anche malcapitati carcerati per lo più anch’essi di nobile lignaggio  .
Le residenze signorili erano ovviamente dotate di raffinate decorazioni (spesso di carattere araldico ed emblematico), ma anche le installazioni militari, specialmente quelle che per ragioni di sicurezza avrebbero potuto ospitare la corte, erano sovente dotate di tali apparati. E’ il caso della rocca di Pesaro.
Tutto ciò avveniva, a maggior ragione, se si pensa che gli architetti dell’una e dell’altra tipologia di residenza erano talvolta i medesimi. La parte residenziale di Rocca Costanza (1), così come quella di Senigallia fu infatti progettata da quel Luciano Laurana che già aveva impresso un segno decisivo nell’edificazione e nella decorazione del celeberrimo Palazzo ducale di Urbino.
Le note che seguono sono dunque dedicate a quanti, curiosi, si soffermeranno ad ammirare gli scudi scolpiti che decorano il cortile della rocca, permetteranno loro di saperne qualcosa di più.
Le decorazioni di cui mi occuperò in questa sede ornano i capitelli dei pilastri del porticato del cortile della rocca che si dispone sui lati Ovest e Sud. Sul primo sono collocati anche due scudi in pietra erratici. Ci occuperemo anche di quelli.

Rocca Costanza dall'alto e prospetto dei lati del cortile con stemmi e imprese

Il lato Ovest del porticato è quello sul quale si affaccia l’ingresso alla rocca, ed è adeguatamente decorato al fine d’essere il principale dei due. I larghi pilastri che sostengono l’arco d’accesso sono arricchiti ognuno con due lesene con capitello scolpito. I capitelli delle lesene interne mostrano scudi con l’impresa del morso (a destra) e del giogo spezzato (a sinistra), mentre i capitelli delle lesene esterne sono entrambi decorati con l’arma inquartata Impero-Sforza. Tale composizione appare dunque concentrica. L’ulteriore pilastro a destra ha il capitello della lesena decorato con lo scudo con l’impresa della scopetta, mentre quello a sinistra risulta illeggibile, forse per abrasione. Verosimilmente doveva esserci un’altra impresa o la divisa della casata che vediamo rappresentate sul lato sud del porticato.


Stemma abraso
Nel lato meridionale non pare potersi individuare un ordine particolare nella disposizione delle insegne. L’estremo pilastro a destra è angolare, privo di lesene, ha i tre lati che si affacciano sul cortile decorati da una sorta di cornicione con tre scudi: l’estremo a destra reca l’impresa dei semprevivi, quello centrale lo stemma della vipera viscontea e quindi sul lato che sostiene l’arco c’è lo scudo con l’impresa del morso. Gli altri cinque pilastri hanno la lesena e nel capitello di ciascuna sono rappresentati (sempre da destra): lo stemma sforzesco del Leone col Cotogno, l’impresa del Giogo spezzato, la divisa di casa Sforza, l’impresa della Scopetta e in fine l’arma inquartata Impero-Sforza.
Questa la serie originale delle decorazioni araldiche del cortile: tutte racchiuse entro stemmi a testa di cavallo affiancati dalle sigle IO[ANNES] SF[ORTIA].
In epoca verosimilmente successiva, sono stati murati nei grandi pilastri dell’arco di accesso nel lato Ovest, due grandi scudi di foggia veneziana, alquanto rovinati, verosimilmente già utilizzati come chiave di volta in altro edificio. A destra l’arma inquartata Impero-Sforza, a sinistra l’impresa del Giogo spezzato.

Stemmi erratici: l’arma sforzesca inquartata Impero-Sforza e l’impresa del Giogo spezzato


Lo studio dell’ordinativo del materiale lapideo necessario a decorare il cortile e le stanze che su questo si affacciano (1479) ha permesso a Francesco Ambrogiani di ipotizzare un ben diverso originario progetto la uraniano (2): due porticati di otto archi su sette colonne per lato, sviluppati sui lati Sud e Nord del cortile, parallelamente alla direttrice che, attraversando quest’ultimo, porta direttamente dall’ingresso della rocca all’ingresso del maschio. Un apparato architettonico ben diverso dall’attuale, evidentemente non realizzato per un quarto di secolo e poi abbandonato non si sa per quale motivo (3).
E’ possibile che le pietre d’Istria usate per i capitelli degli attuali pilasti siano state ricavate da quelle originariamente destinate a costituire il fregio passante sopra gli archi nella soluzione di Laurana ipotizzata da Ambrogiani. Va notato, però, che ormai all’inizio del Cinquecento lo stile araldico (soprattutto nella scelta del tipo di scudo a testa di cavallo), è ancora quello tardo quattrocentesco. Forse, oltre ai desiderata di Giovanni potrebbero aver giocato un ruolo in questa scelta sia l’origine urbinate dell’architetto incaricato di completare i lavori della Rocca: Girolamo Genga (4); ma forse anche l’esistenza di bozzetti appositamente realizzati da Laurana prima della morte avvenuta a Pesaro, nel 1479.  Gli scudi erratici ai quali abbiamo accennato hanno un’altra forma, sono del tipo veneziano già in uso del Quattrocento, ma più diffusi nel secolo successivo.


Stemma dei Visconti
Stemma Visconti lato Sud

Le origini di questo stemma si perdono tra dati storici documentati e leggende (5). Le prime testimonianze sono attestate al XII secolo nel palazzo vescovile di Legnano. Bonvesin della Riva sostenne che nel XIII secolo ai Visconti venne concesso l’uso del vessillo con la vipera, già dispiegato dal Comune milanese in battaglia. Nella monetazione l’animale compare, in posizione defilata, acquisterà una posizione preminente solo a partire dagli anni ‘30 del Trecento, con Azzone Visconti. La corona della vipera venne concessa dai duchi d’Austria Ottone e Alberto agli inizi del XIV sec (6).
Il 4 gennaio 1395 Gian Galeazzo Visconti, elevato alla dignità di duca di Milano, unì in uno stemma inquartato l’arma con l’aquila dell’Impero e quella della vipera questo stemma venne denominato Ducale (7).
Il Ducale divenne patrimonio araldico sforzesco con il contratto matrimoniale tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti figlia di Filippo Maria, nel 1432 (il matrimonio sarà celebrato solo nel 1441). In quell’occasione, infatti, Francesco venne ammesso nella famiglia ducale milanese con diritto al cognome e allo stemma. Il Ducale con la vipera e l’aquila, fu dunque patrimonio araldico del ramo milanese della stirpe sforzesca.  Come omaggio ai potenti cugini milanesi o come segno d’alleanza, compare nella serie araldica di Rocca Costanza lo stemma della Vipera, ma non il Ducale, che è invece rappresentato nella rocca di Gradara. Un’assenza che non ha dunque ragioni politiche, sulla quale ritorneremo in conclusione.
Il campo dello stemma con la Vipera è generalmente d’argento, la biscia verde o azzurra, con scaglie e cresta. La corona d’oro. Per Camin e per Maspoli la persona nella bocca della Vipera (l’ingollato) è un saraceno, in linea con la tradizione prevalente. Maurizio C.A. Gorra, dopo un esame delle diverse ipotesi già formulate, ne avanza un’altra: potrebbe trattarsi della rappresentazione araldica del motivo del profeta Giona rigettato dal pistrice (8).


Stemma degli Sforza
Stemma degli Sforza lato Sud
Questo stemma degli Sforza, col leone e il cotogno, venne a comporsi con la concessione dell’imperatore Roberto di Baviera a Muzio Attendolo nel 1401. Il Leone alluderebbe alla forza del condottiero mentre il cotogno, emblema di Cotignola patria di Muzio, sarebbe stata la primitiva arma del condottiero (9).
In questo stemma il leone tiene la branca destra sopra il cotogno (in altri stemmi non è così) la motivazione di questa particolare postura del leone è stata così giustificata dal Minuti nella sua Vita di Muzio Attendolo Sforza: “col codogno in la gamba manca, e la gamba dericta sopra al codogno, dicendo Sforza che voleva el leone tegnisse la gamba directa de sopra per defensione del cotogno; però che tenendo el codogno de sopra pariva lo offrisse per dare ad altri”. Muzio e tutti gli Attendoli vennero creati conti di Cotignola dall’antipapa Giovanni XXIII nel 1411.


Stemma inquartato Impero-Sforza
Stemma Impero-Sforza lato Sud      

Stemma Impero-Sforza lato Ovest (a destra)

Stemma Impero-Sforza lato Ovest (a sinistra)

Come si è già ricordato, nel 1395 lo stemma dei Visconti con la Vipera venne inquartato con quello imperiale d’oro all’aquila di nero coronata del campo. Lo stemma imperiale faceva già parte del corredo araldico dei Visconti in quanto vicari imperiali (tali dal 1294), ma venne unito nel nuovo stemma specificatamente definito Ducale, quando Gian Galeazzo Visconti divenne duca di Milano (10). Si trattò dunque di un motu proprio visconteo, non di una vera e propria concessione imperiale. Quello stemma diventò per le ragioni già ricordate patrimonio degli Sforza milanesi.
Ma l’aquila imperiale entrò anche nel patrimonio araldico degli Sforza pesaresi tramite la concessione dell’imperatore Federico III  del 22 gennaio 1469 (11).
Lo stemma inquartato mostra ovviamente l’aquila imperiale (si noti monocipite) in posizione d’onore, nei quarti I e IV ed è quello rappresentato a Rocca Costanza.


Impresa dei semprevivi
Impresa dei Semprevivi lato Sud
Secondo Carlo Maspoli questa impresa fu creata per Francesco Sforza, fratello di Alessandro signore di Pesaro; alla figura era unito il motto MIT ZEIT (col tempo) quando i due semprevivi ai lati saranno cresciuti alla medesima altezza di quello centrale, il duca conseguirà vittoria sui suoi nemici (12).


Impresa del morso

Impresa del Morso lato Sud

Impresa del Morso lato Ovest

Questa impresa sembra risalire a Gian Galeazzo Visconti (ante 1394): Il morso era accompagnato dal motto ICH VERGIES NIT (io non dimentico) (13).
Questa impresa è ampiamente rappresentata anche a Palazzo ducale di Urbino (14) e nel castello-palazzo dei conti Oliva a Piandimeleto (15).


Impresa della Scopetta
Impresa della Scopetta lato Sud

Impresa della Scopetta lato Ovest

Impresa di Francesco Sforza, oggetto d’uso quotidiano casalingo per rimuovere la polvere.
Nel cartiglio è comunemente scritto il motto MERITO ET TEMPORE (16).
Si trova anche a Urbino ed è scolpita a Palazzo ducale di Pesaro.


Impresa del Giogo spezzato
Impresa del Giogo spezzato lato Sud

Impresa del Giogo spezzato lato Ovest
Tra tutte le imprese rappresentate a Rocca Costanza, questa è l’unica creata appositamente per Giovanni. Il giogo spezzato, unito al motto PATRIA RECEPTA, allude chiaramente alla fine della cattività ed al recupero del dominio pesarese dopo la tragica esperienza Borgiana.
Spalleggiato dal padre, papa Alessandro VI (che destituì il signore di Pesaro con la scusa del mancato pagamento di censi alla Camera Apostolica), a metà ottobre del 1500 il Valentino era il nuovo signore di Pesaro (17). Tre anni dopo, caduto in disgrazia il Borgia, Giovanni tornò il signore pesarese (18). A ricordo della vicenda adottò questa impresa di cui fece ampio uso anche nella monetazione.
Solo questa impresa è rappresentata col motto (scolpito nello scudo) mentre tutte le altre, contrariamente all’uso consueto non riportano il motto, nemmeno su un cartiglio.


Divisa sforzesca

Abbiamo lasciato per ultimo lo scudo con la divisa sforzesca, sulla quale possiamo fare qualche riflessione in più. Il termine divisa nasce in ambito militare, come un terzo sistema di riconoscimento e di auto rappresentazione oltre a quello araldico e a quello delle imprese. Con queste ultime ebbe però contatti più frequenti, quasi costanti.

Molte rappresentazioni di battaglie del XV secolo mostrano l’ampio uso di queste divise (e per contro la scarsa presenza degli stemmi araldici propriamente detti) sugli abiti e gli scudi dei combattenti, sulle bandiere e sui pennoni delle trombette, sulle gualdrappe dei cavalli. I colori di queste divise decoravano le calzabrache dei fanti (19).

La divisa sforzesca è composta da un inquartato: di rosso nei quarti 1° e 2° e ondato d’azzurro e bianco nel 2° e 3°. Su questo elemento base, o meglio, sui campi di rosso, i diversi appartenenti alla famiglia aggiunsero di volta in volta (ma non sempre) altre figure, per lo più imprese.

Nello scudo con la divisa nella rocca Costanza i quarti rossi sono rispettivamente caricati dell’impresa dell’Anello col diamante e il fiore di melograno e dell’impresa del Volo legato.

L’ondato  inquartato col rosso fu la divisa assunta da Muzio Sforza, capostipite della casata fin dall’epoca del servizio presso la compagnia Alberico da Barbiano (20). Divenne poi patrimonio comune di tutta la famiglia, quindi anche di Giovanni, che la fece rappresentare nella serie degli scudi della rocca pesarese. Sull’uso del termine ondato si sofferma a lungo Cambin, che la definisce impresa (21), mentre a mio giudizio è propriamente una divisa.

Anche l’impresa dell’anello col diamante e il fiore di melograno divenne parte del patrimonio araldico familiare con Muzio che nel 1409 ricevette in dono dal marchese di Ferrara Nicolò III d’Este (22) uno stendardo con l’impresa dell’Anello (23).

Per quanto ne so non è nota l’origine della seconda impresa: il Volo legato.

Nel XVIII secolo Vincenzo Bellini, credette di riconoscere nelle minute rappresentazioni di questa impresa nelle monete pesaresi delle corna di daino. Lo corresse qualche anno dopo Annibale degli Abati Olivieri: “tali veramente pajono; ma non è, che io non stia in dubbio, che siasi piuttosto voluto rappresentare due ali di Nottola” (24) e ancora “ma non può dubitarsi, che il simbolo espresso in queste monete non siano un par d’ale, se di Nottola, o di Drago, nol determino; ma ale son certamente, e questa è una delle imprese, che furono dagli Sforza usate, che vedonsi ne’ capitelli delle logge di corte, e in quelli della loggia di Fortezza, i quali lavori essendo in grande, ci mettono in tutta sicurezza di non errare nel determinare ciò che fu espresso in queste piccole monetine”.

Drago o nottola? L’arcano pare ancora irrisolto. Certo il celebre mostruoso cimiero sforzesco del drago con la testa di vecchio tenente l’anello, sembra spingere verso l’ipotesi delle ali di drago, anche se quest’ultimo risulta spesso rappresentato con una cresta sul dorso, in luogo delle ali presenti per esempio nel trittico della bottega di van der  Weyden o nello Stemmario trivulziano (25). Le imprese sono per lo più, se non addirittura sempre, estranee alle figure dell’arma. Trattandosi però del cimiero, chissà…
L’immagine non aiuta, forse potrà sciogliere il nodo una qualche fonte letteraria.

 Anche se non rientra nello stretto argomento di questo intervento su Rocca Costanza, mi piace segnalare, a proposito della divisa sforzesca pesarese altri scudi in pietra.

Nell’angolo tra via Mazza e piazza Antaldi, murata su una casa di fila, c’è una pietra d’angolo fatta collocare da Giovanni Sforza (VMANITAS IO SF).  V’è rappresentato uno scudo a testa di cavallo partito, semitroncato: nel 1° l’arma del leone col cotogno (che dà su via Mazza), nel 2° l’impresa dell’anello col diamante e nel 3° l’ondato (che danno su piazza Antaldi. La dicitura scolpita in un’altra pietra sta ad indicare l’opera munifica del signore a vantaggio della città.

A Gradara, murati nella torre della porta del castello, stanno due magnifici scudi gotici. Quello a destra contiene l’impresa dell’anello col fiore, quello di sinistra il volo legato. Il primo è accompagnato dalla dicitura AL[LESANDRO] SF[ORZA], l’altro dalla data 1464, l’anno dopo la conquista sforzesca ai danni del Malatesta.

Impresa dell'anello col fiore e del volo legato a Gradara

Stemma di Giovanni Sforza a Pesaro, angolo via Mazza - piazza Antaldi

 

Assenza dell’incremento Aragonese
Per concludere torniamo alla Rocca pesarese. La serie araldica di rocca Costanza costituisce la parata degli emblemi (armi, divisa e imprese) degli Sforza pesaresi, ma non è completa. Non compare il loro stemma inquartato con l’arma dei sovrani aragonesi di Napoli, che pure spettava loro fin dal 1473 al pari del cognome d’Aragona (26) .
Usarono il composito stemma dei re di Napoli sia Costanzo che Giovanni, collocandolo nei quarti 2° e 3°, avendo cura di lasciare l’aquila imperiale nel 1° e limitandosi a rappresentare quella originaria della famiglia solo nell’ultimo quarto.
Grosso di Costanzo Sforza

Grosso di Giovanni Sforza

E’ un’assenza dettata da ragioni politiche? Oppure la serie non è completa? A quanto ci risulta Giovanni si firmerà sempre come d’Aragona, anche dopo la parentesi borgiana.
Non compare nemmeno l’impresa del sole radiante, che pur era rappresentata in una bandiera rossa donatagli nel 1483 dal duca di Milano Giovanni Galeazzo Sforza (27).




Cronologia dell’edificazione di Rocca Costanza (28)
1474 (3 giugno) posa della prima pietra, inizio dei lavori.
1475-79  Luciano Laurana che dirige i lavori. Gli subentra Matteo Cherubino già suo collaboratore.
1483 morte di Costanzo, la rocca è sostanzialmente terminata.
1500-1503 occupazione del Valentino, viene realizzato il fossato
1505 Lavori di completamento e abbellimento della rocca, probabilmente sotto la direzione dell’urbinate Girolamo Genga.
 
 
Note
(1) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui protagonisti di Rocca Costanza, in “Pesaro Città e Contà”, n. 21, Pesaro 2005, pp. 90-92.
(2) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui progettisti di Rocca Costanza, cit., pp. 94-96.
(3) F. AMBROGIANI, Ipotesi sui progettisti di Rocca Costanza, cit., p. 96.
(4) Muratore direttore dei lavori fu tal Andrea di Girolamo della Ciacca di Sant’Angelo in Lizzola, F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, Pesaro Città e Contà - Link, Pesaro 2009, p. 394.

(5) C. MASPOLI (a cura), Stemmario trivulziano, Orsini De Marzo Editore, Milano 2000, pp. 27 e 28; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi. Bottino della battaglia di Giornico1478. Stemmi – Imprese – Insegne, Società Svizzera di Araldica, Lucerna 1987, pp. 100-106.

(6) G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., p. 108.

(7) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 28.

(8) M.C.A. GORRA, Il biscione e l’uscente: storia di un mito, in “Cronaca Numismatica”, n. 173, aprile 2005, pp. 26-32.

(9) G. CAMBIN, Le Rotelle milanesi, cit., p. 109.

(10) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 28.

(11) G. MURANO, Colligite fragmenta, Accademia Raffaello, Urbino 2003, p. 220.

(12) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., pp. 38 e 39; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., pp. 458 e 465.

(13) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 36; G. CAMBIN, Le rotelle milanesi, cit., p. 446.

(14) A. CONTI, Osservazioni sull’araldica degli Oliva, STIBU, Urbania 2004, p. 91 e nota 37.

(15) A. CONTI, Osservazioni sull’araldica degli Oliva, cit., p. 91, il motto è qui erroneamente indicato come Ich Vereis Nit invece che Ich Vergies Nit”.

(16) C MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., pp. 37 e 38, G. CAMBIN, Le Rotelle milanesi, cit., p. 457.

(17) F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, cit., p. 300-304.

(18) F. AMBROGIANI, Vita di Giovanni Sforza, Pesaro, cit., p. 339-349.

(19) Sulle divise si veda M. PREDONZANI, Anghiari. 29 giugno 1440, Il Cerchio, Rimini, 2010.

(20) M. PREDONZANI, Anghiari. 29 giugno 1440, cit., pp. 152, 158-159.

(21) G. CAMBIN,Le rotelle milanesi, pp. 208-218.

(22) V. FERRARI, L’araldica estense nello sviluppo storico del Dominio ferrarese, Belriguardo, Ferrara 1989, pp. 108-113.

(23) C. MASPOLI, Stemmario trivulziano, cit., p. 40.