Il pianto
dell’araldo che tradotto in uno stile un po’ burlesco e brusco per rifarsi alle
origini della categoria, gente di poco rispetto, menestrelli, trombetti e
affini ha avuto una risposta, che per ovvie ragioni di riservatezza non pubblico.
Però nelle more di qualche movimento, un sussulto di verità, che porti a rettificare lo stemma del vessillo, rendo pubbliche le mie repliche alle obiezioni poste al mio primo intervento postato in questo blog il 9 aprile 2012.
Però nelle more di qualche movimento, un sussulto di verità, che porti a rettificare lo stemma del vessillo, rendo pubbliche le mie repliche alle obiezioni poste al mio primo intervento postato in questo blog il 9 aprile 2012.
La replica
alle osservazioni che stanno alla base della mia richiesta non proviene dal
sindaco e nemmeno dal presidente della proloco, che ho citato come probabili
responsabili della gestione del castello (che è demaniale e di cui non hanno la
gestione), né dal grafico che ha realizzato la bandiera, ma dal curatore (e
proprietario) della maggior parte delle collezioni esposte nel castello.
Mi viene replicato che lo stemma che si è
voluto rappresentare nella bandiera è quello del conte Antonio Brancaleoni.
Ebbene, lo
stemma di Antonio Brancaleoni è rappresentato, con i suoi veri smalti, nella
camera greca decorata nel 1585. Certo quello stemma è meno appariscente di
quello in stucco del Brandani, ma c’è ed è accompagnato dalle iniziali del
committente A B.
Il leone
azzurro in campo bianco (con la brava fascia in capo) si trova anche in piatti
in ceramica esposti nel museo, come ho ricordato nel mio intervento del 9
aprile.
Erano quelli,
il bianco del campo e l’azzurro del leone, gli smalti dello stemma dei
Brancaleoni, anzi degli stemmi di vari rami dei Brancaleoni. Su questo non c’è
dubbio. Lo testimoniano gli esempi citati, ma anche altri.
Mi viene fatto notare che furono: “tanti
i rami dei Brancaleoni , famiglia molto prolifera, ed ogni ramo nel tempo ha
cercato di distinguersi dall'altro apportando qualche leggera modifica
all'avito stemma di famiglia che rappresentava il leone rampante (…). Alcuni
hanno modificato gli smalti altri addirittura hanno scelto una parte della
nobile belva invece dell'intero animale”.
In effetti
per quel che mi consta, nessuna famiglia dell’area ha avuto tante brisure dello
stemma avito per meglio caratterizzare i diversi rami quanto i Brancaleoni.
Quelli di
Piobbico: un originario leone azzurro in campo bianco.
Quelli di
Castel Durante: brisarono l’arma del leone azzurro in campo bianco con
l’aggiunta di una banda rossa. Tale stemma rimase comune a entrambe le linee a
seguito della divisione tra Casteldurante da una parte (poi emigrato a Rimini
dopo la cacciata ad opera di Guidantonio da Montefeltro su incarico di Martino
V nel 1424) e Mercatello-Sant’Angelo in Vado dall’altra estintasi con Gentile
prima moglie di Federico da Montefeltro, deceduta nel 1458.
Quelli di Castel Pecoraro: brisarono l’arma del leone azzurro in campo bianco assumendo una parte della “nobile bestia” una branca (come ricordato dal mio interlocutore), ma sempre azzurra in campo bianco.
Quelli di Castel Pecoraro: brisarono l’arma del leone azzurro in campo bianco assumendo una parte della “nobile bestia” una branca (come ricordato dal mio interlocutore), ma sempre azzurra in campo bianco.
Sembra che
un altro ramo (mi pare per via della Rocca, ma questa è una parte che devo
approfondire) giunto a Rimini mutò gli smalti della sua sola branca, forse
proprio in un campo azzurro con la figura d’oro (secondo una delle indicazioni
fornite dal Di Crollalanza nella sua confusa voce “Brancaleoni dell’Umbria” nel
celebre Dizionario. Ma questa è un’altra storia che non riguarda il ramo di
Piobbico e il suo castello.
Invece
riguarda il ramo di Piobbico una delle più tarde attestazioni dello stemma a
colori. Si trova in una delle sale della Biblioteca centrale dell’Univeristà di
Urbino (palazzo Bonaventura): il leone è appunto azzurro (o un colore virato)
in campo bianco con la fascia in capo.
Gli smalti
sono dunque quelli che l’araldo invoca e non l’azzurro e l’oro presenti nello
stemma della bandiera di cui si discute.
Si osserva, con riferimento al leon d’oro
in stucco realizzato dal Brandani, che il celebre artista non avrebbe osato
fare un’arma diversa da quella del committente.
Invece, alla
luce di quanto detto poc’anzi il bel lavoro del Brandani si rivela per quello
che è: una decorazione manierista in stucco dorato e naturalmente dorate sono
le figure principali dell’arma: il leone e la croce. Non fu una variazione
bizzarra e arbitraria dello stemma del committente. Tutti conoscevano lo stemma
del signore e nessuno sarebbe stato ingannato da quell’interpretazione
artistica.
Il bel leone
brandanesco attira l’attenzione e col passare del tempo confonde le idee.
Nessuno per secoli si è interessato a curare l’immagine dell’antica stirpe e la
memoria si è persa. Capita, molto più spesso di quanto si pensi. Cito il caso
dei Gozi di San Marino, eredi della casata degli Oliva conti di Piagnano e
signori di Piandimeleto, che nel loro stemma hanno l’arma di quegli antichi
signori, ma con gli smalti errati, ancora una volta.
Con riguardo a quanto da me scritto il 9
aprile scorso riguardo alla fascia con la croce posta in capo, risponde che la
croce è quella dell’Ordine di Malta assunta dal conte Antonio che partecipò
alla battaglia di Lepanto.
Sono molto lieto
di sapere che la fascia con la croce è dovuta all’Ordine di Malta. D’altra
parte era la prima delle tre ipotesi che, nel dubbio, ho citato come plausibili.
Un incremento araldico che è dunque collegato alla battaglia di Lepanto, che a
modo suo fu l’ultima crociata (seconda ipotesi citata). Nei miei pensieri io
avevo ipotizzato (in attesa di poter verificare a tempo debito) un collegamento
con l’intervento in terra d’Otranto citato dal Tarducci. Ma in effetti a me
pare che la cosa debba essere approfondita, non solo perché Tarducci dice che
la croce venne aggiunta in capo nientemeno che da Pazzo (1318-1327), ma perché
compare anche sopra uno dei due leoni rappresentati negli statuti di Piobbico
nell’edizione manoscritta del 1518 conservata al Senato. Sul fatto che la croce
appaia sovente patente potremmo anche sorvolare.
Al mio citare un “tardo richiamo imperiale” si obietta: “mai un Imperatore avrebbe usato la croce come capo, essendo l'aquila Imperiale quello che connotava le sue gratificazioni e tale era la differenza che distingueva le grazie della Chiesa da quelle dell'Impero”.
Mi preme
precisare, giusto per non far sembrare che il piangente araldo le spara grosse
a casaccio, che il “tardo” richiamo imperiale (la terza ipotesi) si riferisce
all’uso notorio dell’arma di rosso alla croce bianca caratteristica della parte
imperiale o ghibellina che dir si voglia (nell’araldica civica, ma anche in
quella nobiliare), contrapposta alla croce rossa in campo bianco tipica della
parte guelfa e anti imperiale (si pensi al caso più noto di Milano, ma anche
Firenze che non aveva una croce ma invertì gli smalti da ghibellini a guelfi
nel 1252 con l’avvento del governo popolare, come ricorda Dante nel Paradiso). L’uso
dell’aggettivo “tardo” si riferiva appunto ad un anacronismo, essendo caduto in
disuso l’antico emblema imperiale ai tempi della comparsa della fascia
nell’arma dei signori di Piobbico.
In
definitiva l’araldo insiste nella necessità di modificare gli smalti dello
stemma: campo bianco e leone azzurro, come nello stemma dei Brancaleoni di
Piobbico, lasciando per buona la fascia in capo rossa con la croce bianca.
Vien definita la nostra polemica bizantina
e estranea agli sforzi volti al prestigio del castello e delle sue collezioni.
Invece si tratta di ridare dignità allo stemma dei signori di Piobbico per adesione alla verità storica proprio per elevare il prestigio di questo prezioso bene monumentale.
La mia replica, inviata il 16 aprile, non ha avuto ancora risposta.
Invece si tratta di ridare dignità allo stemma dei signori di Piobbico per adesione alla verità storica proprio per elevare il prestigio di questo prezioso bene monumentale.
La mia replica, inviata il 16 aprile, non ha avuto ancora risposta.
(Il vero stemma dei Brancaleoni di Piobbico - conte Antonio)
(Lo stemma "artistico" realizzato dal Brandani)