Avevano nell’arme smalti belli. Bianco era il campo e azzurro era il
leoncello. Usavano gli smalti come altre
casate: i conti di Carpegna, quelli di Piagnano e più in
là casate altrettanto prestigiose. Tanto prestigiose che taluno volle fare dell’azzurro
e del bianco i colori degli antichi conti carolingi, mentre altri subito lo
smentirono.
Aggiunsero, non si sa ancora quando e perché, in capo una fascia rossa
carica d’una croce bianca. Cavalleresco ordine? Una crociata? Un tardo richiamo
imperiale? Di questo pare essersi persa ogni memoria.
In ogni caso un’arma bella, presente nel castello ed anche in antichi suppellettili
lì ritrovati e visibili nel museo ivi allestito.
Nonostante ciò, no. S’è voluto cappellare. Così, gratuitamente, come se
l’araldica non significasse niente. Come se i Brancaleoni antichi (di loro
stiamo parlando), e finanche gli ultimi eredi urbinati, non avessero
ossessivamente rappresentato quegli smalti nel loro stemma.
Anche chi non è amante della polvere degli archivi o chi disdegna le
linde pagine dei libri stampati belli e pronti, doveva conoscere. Ma anche per costui
si era scritto, tempo fa, sulla rete delle reti un primo, chiaro, contributo
che chiunque avrebbe scovato digitando stemma Brancaleoni Piobbico in un motore di ricerca.
E invece no. Nemmeno quello, o nonostante quello, s’è voluto
cappellare. Si è voluto prendere lo stemma in stucco del Brandani e usarlo tal
quale come emblema del castello restaurato e musealizzato.
Ingannati dall’antica legge degli smalti codificata
dai primi araldi, o per imperizia, o ancora per cosciente voglia di novità si è
dotato lo scudo d’un campo azzurro a circondare il leone d’oro
brandanesco. Cosicché, salva la fascia,
in barba all’artista urbinate, l’antico stemma con quegli smalti che
accomunavano i diversi rami della casata, non c’è più.
E dunque, un qualunque Brancaleoni risvegliato oggi dal sonno eterno non
dubiterebbe a muovere subito guerra al suo castello vedendovi sventolare un
vessillo con un’arma aliena alla casata sua. Ma, giunto sotto le mura
troverebbe a difendere il maniero solo un moderno sindaco, forse un presidente
di proloco e un fiero creativo. Più in là l’araldo scrivente, piangente della
sua impotenza, implorare i novelli signori del Piobbico di mutare subito l’arma,
di restituire ad essa l’antica dignità e mutare con poca spesa quegli smalti.
Per carità.