Lo scorso
mese di dicembre 2017 è stato pubblicato il libro a cura di Agnese Vastano:
Verso Milano. Le spoliazioni napoleoniche a Urbino. Nel volume compaiono
numerosi interventi, tutti anche tradotti in inglese:
- Agnese
Vastano, Prefazione (pp. 10-11)
- Daniele
Diotallevi, Il generale Bonaparte in Italia. Genio militare e uomo di cultura?
(pp. 13-28); - Bonita Cleri, La Pala Montefeltro nella cultura urbinate del Quattrocento (pp. 29-50);
- Valentina Catalucci, Tra “le più belle opere di pittura che formavano il di Lei ornamento”: i dipinti di Timoteo Viti sottratti alla città di Urbino (pp. 51-62);
- Anna Fucili, La Madonna di Santa Chiara, opera presunta di Raffaello, dispersa in epoca di soppressionni. Da Urbino a Cambridge, Massachusett, trasferimenti e curiosità iconografiche (pp. 63-92);
- Antonio Conti, Lo stemma del Comune di Urbino prima, durante e dopo il regime napoleonico (pp. 93-129);
- Andrea Bernardini, Urbino al tempo delle spoliazioni
napoleoniche. Regesto documentario (pp. 130-159).
Il volume è
dedicato a un tema annoso e molto sentito a Urbino per il particolare pregio di
alcune opere sottratte dal regime napoleonico alla città: prima fra tutte la
celebre Pala Montefeltro (impropriamente detta anche Pala di Brera) dipinta da Piero
della Francesca e ora esposta alla Pinacoteca Nazionale di Brera, a Milano. Che
posto poteva trovare un saggio di araldica, o comunque un saggio legato al
fenomeno araldico in un volume di questo tipo? Ho riflettuto qualche giorno,
poi lo spunto è giunto con un dipinto di Timoteo Viti, sottratto dai napoleonici
nel 1810, anch’esso a Brera, ma non esposto. Si tratta della conversazione
della Vergine col Bambino e i santi Crescentino e Donnino, una tela nella quale
il santo patrono di Urbino sorregge il vessillo armeggiato della città, un
esempio unico di questo tipo di rappresentazione, per Urbino, a fronte di
un’ampia serie di santi vessilliferi presso altri comuni della regione,
innanzitutto san Terenzio di Pesaro. Questa tela, databile ai primissimi anni
del XVI secolo, è dunque stata il pretesto per tornare sul tema dello stemma
Urbinate, in maniera ancor più approfondita di quanto non ho già fatto nel pur
completo intervento nel volume “Le Marche sugli scudi. Atlante degli stemmi
comunali” edito da Andrea Livi Editore me 2015, a cura di Mario Carassai, con
testi di Alessandro Savorelli, Vieri Favini e miei.
Dunque il
mio intervento s’intitola lo stemma di Urbino prima, durante e dopo il regime
napoleonico; non ho volutamente richiamato il Regno d’Italia, nel titolo,
perché per regime napoleonico ho voluto intendere anche la breve parentesi
giacobina di fine XVIII secolo.
Il mio
intervento prende in esame tutte le fonti fino ad ora note e le interpratazioni
storiche addotte nella non piccola bibliografia sul tema. Alcune fonti, molto
importanti, sono per altro state individuate da me in anni di ricerca e in gran
parte già proposte all’attenzione degli studiosi con pubblicazioni.
Dagli albori
del Comune urbinate (attestato all’inizio del XIII secolo), al mancato decreto
di riconoscimento dello stemma, fino al logotipo ideato da Albe Steiner nel
1969, passando per l’emblematica adottata dal regime giacobino e l’araldica
civica napoleonica. Il racconto delle fonti e l’interpretazione che propongo si
sviluppano seguendo i seguenti paragrafi:
1. Un pretesto
2. L’araldica
civica3. La tradizione dell’aquila quale stemma del Comune: leggenda o realtà?
4. San Crescentino patrono, protettore ed emblema del Comune
5. L’uso civico dell’antico stemma signorile
6. Bonaparte e Napoleone I: fine e ripresa dell’uso delle storiche insegne comunali
7. Dopo Napoleone.
A. Vastano, Verso Milano. Le spoliazioni napoleoniche a Urbino, Leardini Editore, Macerata Feltria, 2017.